Bologna, 30 marzo- “Il calo fatto segnare sul versante delle compravendite residenziali (-7,7%) rappresenta un esito migliore anche delle attese più ottimistiche, a cui ha concorso il dinamismo registrato fuori dai maggiori centri urbani”. È questo uno dei dati più significativi che emergono dal 1° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2021 curato da Nomisma e presentato oggi presso la sede di Bologna.
Per il Centro Studi bolognese la drammaticità del quadro pandemico si è solo parzialmente riflessa sulle dinamiche immobiliari; tutto questo è stato reso possibile dall’atteggiamento tenuto dagli operatori economici – per i quali la debacle in corso assume tratti prettamente congiunturali – e dagli istituti di credito, che hanno tenuto un atteggiamento solo nominalmente più attento e selettivo.
Nomisma pone nel suo rapporto un elemento di attenzione: “il differimento temporale degli effetti sul mercato del lavoro, dovuto al congelamento delle possibilità di esodo, parrebbe tuttavia aver indotto una sottovalutazione della potenziale rischiosità di parte delle richieste di finanziamento”.
È da tenere conto di come il contributo del sistema creditizio sia stato fondamentale per consentire al mercato immobiliare “l’insperato rimbalzo rilevato nella seconda parte dell’anno”.
Nomisma rileva come i nuclei meno esposti alla crisi si siano indirizzati verso impieghi immobiliari; è ancora oggi radicato il retaggio che vede in questo comparto una sua specifica solidità, oltre che capacità di salvaguardia del valore nel tempo.
Al netto della volontà di acquisto di seconde case in località diverse rispetto a quelle di abituale permanenza, sul mercato si è registrato un cambio di orientamento che ha visto privilegiare la ricerca di migliori condizioni di accessibilità economica o di dotazioni accessorie.
Il Centro Studi bolognese nel suo Osservatorio ha rilevato maggiore capacità reattiva e vitalità da parte dei mercati secondari; la recessione ha avuto un fattore di mitigazione nella correzione al ribasso dei prezzi, dinamica già avviata nella seconda parte del 2020 presso i centri maggiori.
Nomisma evidenzia come: “il timore che gli attuali riferimenti di mercato risultino insostenibili, alla luce della drammaticità del tracollo subito dalla nostra economia, appare tutt’altro che infondato”. Al momento la flessione registrata si presenta nel complesso modesta sia nelle aree urbane (-2,0%) che in quelle intermedie (-0,7%).
Tutto questo – per il think tank bolognese – è il risultato di un mercato immobiliare italiano che si adegua con ritardo ai cambiamenti di scenario macroeconomico. Non si rivelerà effimera e foriera di future debolezze la capacità del settore di mantenersi al di sopra dei livelli di equilibrio sostenibile “solo se le aspettative di rimbalzo dell’economia troveranno conferma nelle dinamiche reali”.
Per questo, come già evidenziato, Nomisma avverte come – pur a fronte di un modesto arretramento registrato nel 2020 – non si possa ritenere archiviato il pericolo di un tracollo di dimensioni più ampie o anche solo del protrarsi della debolezza congiunturale.
Il Centro Studi felsineo evidenzia il fatto che in Italia nel 2020 si siano compravendute 46.241 abitazioni in meno rispetto al 2019 (-7,7% annuo) e 8.866 immobili destinati ad accogliere attività economiche in meno (-7,6%).
In ambito residenziale l’entità del calo su base annua si è attenuata grazie ai mercati di provincia, i quali, nella seconda parte dell’anno, hanno fatto registrare un aumento tendenziale del 10% (primo semestre -22,2% tendenziale). Anche il mercato non residenziale ha visto una performance meno negativa (-8,3% tendenziale) nella seconda parte dell’anno rispetto alla prima (-25,1%). Importante attivatore di mercato, nel segmento degli immobili per l’impresa, è risultato essere il settore dei magazzini, che ha fatto segnare – nel secondo semestre 2020 – un incremento di 5.265 unità rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente. Da solo, rappresenta oltre il 50% del mercato non residenziale al dettaglio.
Sono invece 5.236 le transazioni di spazi per il commercio effettuate in meno nel 2020, perlopiù riconducibili al primo semestre dell’anno.
I prezzi di compravendita di abitazioni hanno fatto segnare un calo nominale tra lo 0,7% (città intermedie) e il 2,0% (grandi città). Sono cali alquanto contenuti se paragonati all’ultima fase riflessiva registrata in Italia (pre pandemia), che ha visto flessioni dei pezzi su base annua del 3,5% nei mercati maggiori e del 2,9% nei mercati intermedi.
Alla domanda “nel corso del 2021 il mercato delle compravendite recupererà i livelli di attività persi nel 2020?”, il 49,8% dei rispondenti ritiene che ciò si verificherà contro il 50,2% che lo considera improbabile.
Ma non mancano le sfumature. Il più elevato ottimismo (60% ritiene che il 2021 sarà all’insegna della crescita del mercato) viene rilevato nel Nord Italia, mentre al Sud la quota di chi si attende un’evoluzione positiva si attesta al 35%.
L’incertezza su come si modificheranno i prezzi nel corso dell’anno, a giudizio degli operatori, spinge l’offerta a rimanere sul mercato (90%) e a rivedere al ribasso i prezzi richiesti (75%). Anche in questo caso fa eccezione il Nord dove il 20% dei rispondenti (a fronte del 10% del totale delle risposte) ritiene che parte dell’offerta potrebbe ritirarsi dal mercato in attesa di una risalita dei prezzi.
In Italia si conferma come l’acquisto della casa sia legato a logiche di stabilità familiare; il 78% delle famiglie risultano proprietarie immobiliari; la percentuale scende al 65% se si considerano i non coniugati o conviventi, mentre si attesta su valori più elevati (82%) tra chi è sposato o convive stabilmente.
Con l’avvento della pandemia si è ulteriormente ampliato il ricorso al mutuo per l’acquisto dell’immobile (a detta del 93,7% dei rispondenti) e il temporaneo utilizzo dell’opzione locativa (per l’84,6% degli intervistati), in attesa di una definizione delle prospettive.
La qualità dell’abitare è un elemento sempre più ricercato dagli acquirenti italiani così come è cresciuto l’interesse ad acquistare l’abitazione al di fuori del comune principale (64%).