Il 7 maggio, in occasione dell’evento “Controvento. Il Paese in realtà non è fermo”, sono stati presentati i dati della ricerca “Controvento”, realizzata da Nomisma, e inoltre un approfondimento sulla sostenibilità finanziaria delle imprese Controvento curato da CRIF Ratings e una survey del Centro studi MECS – Confindustria Ucima.
La ricerca “Controvento” dimostra che, nonostante nel 2018 l’Italia sia entrata in recessione tecnica dopo anni di crescita stagnante, il Paese non è immobile: ci sono infatti comparti e singole imprese che, pur rappresentando una minoranza, trainano l’economia italiana.
Realtà che navigano “Controvento”, dunque, capaci di performare meglio di altre, perché hanno saputo cogliere l’innovazione e la “trasformazione tecnologica 4.0”. Anche in un periodo come questo, fortemente condizionato dall’emergenza Coronavirus, i relatori hanno quindi lanciato un messaggio positivo: ci sono indicatori che permettono di essere fiduciosi sulla capacità dell’Italia di ripartire e, dopo l’emergenza, bisognerà puntare proprio sulle aziende “Controvento”, perché sono quelle che rappresentano il motore trainante del Paese.
La presentazione, avvenuta in diretta streaming a causa delle restrizioni dovute al Covid-19, è iniziata con l’intervento di Lucio Poma, capo economista di Nomisma, che ha illustrato la ricerca “Controvento”. Successivamente, sono stati mostrati i risultati di due “camei” di indagine, due analisi che valorizzano e completano il report di Nomisma, soprattutto alla luce dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando.
La prima, illustrata da Simone Mirani di CRIF Ratings, è dedicata alla sostenibilità finanziaria delle imprese Controvento, mentre la seconda, presentata da Luca Baraldi del Centro studi MECS-Confindustria Ucima, si è concentrata sull’industria del packaging – che vedremo essere uno dei comparti di spicco in Controvento – al fine di comprendere le difficoltà che sta vivendo attualmente e le prospettive future.
I risultati della ricerca “Controvento” – Lucio Poma
A fine 2018 l’Italia è stata dichiarata in recessione tecnica: l’immagine che ne deriva, dunque, è quella di un Paese immobile. Ma è davvero così? “Il sistema produttivo italiano si divide in due parti. La prima vede ottimi risultati e rappresenta il motore che traina il Paese; la seconda è più debole e ottiene risultati molto più scarsi: il bilanciamento di queste due realtà restituisce la fotografia di un Paese immobile, ma in realtà l’Italia non è ferma”, commenta Lucio Poma. Il dato aggregato, dunque, non riesce a cogliere le differenze che caratterizzano l’andamento dei singoli comparti industriali e delle realtà imprenditoriali che operano sul territorio: all’interno di un Paese che si è fermato, infatti, esistono settori manifatturieri e aziende capaci di registrare risultati eccellenti e di fare da traino.
Da queste considerazioni è stato sviluppato un approccio metodologico che, a partire da 71.115 società di capitali, rappresentative della dimensione e configurazione strutturale del settore manifatturiero italiano, ha permesso di individuare un gruppo ristretto di imprese, per la precisione 4.829 aziende, in grado di navigare “Controvento”.
Il settore manifatturiero in Italia
Prima di concentrarci sulle imprese “Controvento”, vediamo le caratteristiche delle aziende manifatturiere in Italia, nel loro complesso, partendo dal campione di analisi costituito dalle 71.115 società individuate. Sulla base dei dati, riferiti all’anno 2018, possiamo dire che i ricavi del settore manifatturiero del Paese si concentrano in 4 regioni (più del 70% dei ricavi proviene da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte) e in 2 classi dimensionali (le grandi imprese sono responsabili di oltre il 40% dei ricavi, mentre le medie imprese di oltre il 30%). Inoltre, sono 4 i comparti (Macchinari Nca, Alimentare, Metallo e Autoveicoli) che da soli realizzano quasi metà del fatturato di tutta la manifattura.
Sempre in relazione al settore manifatturiero nella sua totalità, più del 75% del fatturato deriva dal 10% delle imprese. “Se questo dato non mi ha colpito particolarmente, mi ha stupito il fatto che in tutte le classi dimensionali – quindi micro, piccole, medie e grandi imprese – il 10% delle aziende realizza almeno il 40% del fatturato, e sulle piccole e micro imprese questo non è affatto scontato”, sottolinea Poma.
“È proprio questa la chiave di Controvento: il Paese sta attraversando un processo di rottura tecnologica, iniziato già da anni, e le imprese che hanno saputo cogliere l’innovazione (le aziende che abbiamo definito ‘Controvento’) sono quelle che vanno a un ritmo più veloce, a prescindere dalla loro grandezza. Per questo motivo il 10% delle aziende produce il 40% di fatturato anche nelle classi dimensionali più piccole”, conclude.
Le imprese “Controvento”: caratteristiche e punti di forza
Concentriamoci ora sulle imprese “Controvento”: vediamo in cosa si differenziano dalle altre realtà manifatturiere e quali sono i parametri che le contraddistinguono. Come dicevamo, dal campione di 71.115 aziende preso in esame è stato ricavato un gruppo ristretto di 4.829 imprese che rientrano nella categoria “Controvento”.
Per far parte di questo range, le aziende dovevano mostrare delle performance pari o superiori alla media manifatturiera in relazione alle principali variabili economico-finanziarie, ovvero Ricavi, EBITDA (margine operativo lordo) e Valore Aggiunto.
Qual è dunque l’identikit delle imprese “Controvento”? Innanzitutto, in riferimento al campione di 71.115 società, le 4.829 aziende “Controvento” rappresentano il 6,8% delle imprese manifatturiere e generano il 7,7% dei ricavi. A dimostrazione della loro notevole capacità di traino, ci sono le differenze considerevoli in rapporto all’EBITDA e al Valore aggiunto, rispetto alle altre realtà.Come illustra Lucio Poma, L’EBITDA medio delle imprese controvento è il 18,8% (la media del settore manifatturiero è del 9%) e il Valore aggiunto medio è il 12,3%, quando le media della manifattura è del 5%.
Le aziende Controvento resistano ricavi in crescita almeno del 5% ogni anno, con un’elevata marginalità media (21,6% sui ricavi) che non subisce battute di arresto.
Dalla ricerca Nomisma, inoltre, risulta che le Regioni con più propensione a essere “Controvento” sono Trentino Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto, mentre la classe dimensionale con questa maggiore probabilità è quella delle medie imprese.
Manifattura: i settori più Controvento
Ci sono dei comparti con un’attitudine “Controvento” maggiore? Anche da questo punto di vista, l’indagine ha evidenziato alcuni aspetti importanti. Innanzitutto, i settori del packaging e della farmaceutica sono quelli più competitivi per quanto concerne i ricavi. Sulla base delle loro performance, in relazione alle voci economiche indagate (Ricavi, EBITDA e Valore Aggiunto), Nomisma ha inoltre suddiviso i vari comparti della manifattura in tre gruppi:
- i “settori vincenti”, che hanno una risposta migliore in riferimento a tutte e tre le variabili descritte (rientrano in questa categoria i già citati packaging e farmaceutica);
- i “settori altalenanti”, che per certi parametri sono in Controvento, ma per altri risultano più deboli (ad esempio i produttori di autoveicoli);
- i “settori perdenti”, che sono meno competitivi su tutti e tre gli indicatori.
Tuttavia, l’appartenenza settoriale non è una condizione sufficiente per competere in “Controvento”. Lucio Poma chiarisce infatti che, all’interno dei comparti, alcune classi dimensionali mostrano performance migliori rispetto ad altre. Ad esempio, se due dei comparti maggiori in “Controvento” come il packaging e la farmaceutica sono trainati dalle aziende di grandi dimensioni, non si può dire lo stesso di due settori perdenti in “Controvento”, come quello alimentare e quello nautico, che non registrano nessuna grande impresa in “Controvento”.
In merito alla situazione che stiamo vivendo a causa del Covid-19, Lucio Poma lancia quindi un messaggio di ottimismo: “I risultati di questo rapporto ci danno un’indicazione precisa: appena conclusa l’emergenza, bisognerà ripartire dalle aziende “Controvento”, perché sono il motore del Paese”.
Per contestualizzare meglio i dati dell’indagine alla luce della situazione attuale, vediamo che cosa è emerso dalle analisi condotte da CRIF Ratings e dal Centro Studi MECS-Confindustria Ucima.
La sostenibilità finanziaria delle imprese Controvento – Simone Mirani
La prima ricerca che è stata presentata è quella svolta da CRIF Ratings con l’obiettivo di analizzare le performance finanziarie delle aziende “Controvento” e completare il quadro illustrato dal report di Nomisma.
“L’indagine ha evidenziato che queste realtà sono quelle che hanno le spalle più larghe, sia dal punto di vista economico che finanziario” spiega Simone Mirani, General Manager di CRIF Ratings. “Il primo aspetto che si rileva è una solida struttura patrimoniale: in media, infatti, queste aziende presentano un patrimonio netto molto superiore rispetto ai debiti finanziari. Addirittura, ben il 30% non ha debiti finanziari”, specifica.
La solida struttura patrimoniale si riflette sul fronte degli investimenti. Dall’analisi risulta che le imprese “Controvento” investono mediamente 4 euro ogni 100 euro di fatturato, mentre le aziende italiane ne investono, in media, meno della metà.
A caratterizzare le aziende “Controvento”, inoltre, è la capacità di investire in modo ragionevole e mirato, altro aspetto esaminato dalla ricerca di CRIF Ratings, che ha misurato il ritorno sull’attivo e il ritorno sul patrimonio netto di queste realtà.
Per quanto riguarda il ritorno sul patrimonio netto, dal 2016 al 2018, si è passati dal 20% a quasi il 28% (un risultato quattro volte superiore alla media italiana). In riferimento al ritorno sull’attivo, invece, si è passati da circa il 12% nel 2016 al 17% nel 2018 (la media italiana risulta essere 5 volte inferiore). Dalla ricerca emerge che queste aziende hanno anche mantenuto un forte equilibrio tra utili reinvestiti e utili distribuiti.
“Le imprese “Controvento” dispongono di un confortante “polmone” di liquidità, che permette loro di far fronte a situazioni d’emergenza con più respiro e di avere maggiori risorse per ripartire. Ciò consente non solo di resistere più tempo in una condizione come quella attuale, ma anche di rimettersi in moto più rapidamente”, sostiene Mirani. “Certamente, sarebbe interessante verificare queste considerazioni quando avremo a disposizione i bilanci del 2020: se le nostre deduzioni sono corrette, infatti, nel 2020 le aziende Controvento dovrebbero mostrare una forza superiore e dei risultati soddisfacenti sia economicamente che finanziariamente”, conclude.
Prospettive dell’industria del packaging – Luca Baraldi
Un’altra analisi interessante ed estremamente attuale è quella condotta dal Centro Studi MECS-Confindustria Ucima, che permette di rispondere alla domanda che si è posta Nomisma in relazione al settore packaging, uno dei più performanti in “Controvento”: come sta andando questo comparto? La ricerca, infatti, si è concentrata sull’industria mondiale e italiana delle macchine per il packaging allo scopo di conoscere il sentiment attuale degli operatori, alla luce della situazione che stiamo vivendo, e capire quali sono le prospettive future.
“Il packaging è un comparto in forte salute, che ha riscontrato una crescita continua nell’ultimo decennio. Da un paio di anni, inoltre, l’Italia è leader mondiale in questo settore e la sua produzione è raddoppiata in 10 anni”, spiega Luca Baraldi, responsabile del Centro studi MECS.
Il Centro ha svolto un sondaggio, a cui hanno partecipato 135 aziende rappresentative del 73% del fatturato del comparto, con l’obiettivo di comprendere come queste stiano reagendo all’emergenza in corso. “Dal sondaggio è emerso, innanzitutto, che le imprese del packaging non si sono mai fermate in questo periodo. Solo 4 aziende su 100 hanno stoppato l’attività produttiva, mentre 1 su 5 ha subito un rallentamento nell’attività produttiva e ha mantenuto soprattutto l’attività commerciale e di post vendita”, commenta Baraldi. “Le misure adottate per far fronte all’emergenza (ad esempio smart working, ferie, turni di lavoro diversificati, ammortizzatori sociali) hanno avuto un impatto sull’attività per 9 aziende su 10: solo l’11% ha dichiarato di non aver sofferto di cali di produttività”, aggiunge.
Dall’indagine si evidenziano i problemi riscontrati con la rete di fornitura, fondamentale per queste aziende. Secondo il sondaggio, 8 imprese su 10 hanno subito dei rallentamenti su questo fronte e in 6 casi su 10 il fornitore ha proprio chiuso durante questo periodo. Nella maggior parte delle situazioni, però, le aziende del packaging hanno reagito supportando i propri fornitori storici: 1 impresa su 4 ha dichiarato di aver messo in campo azioni di supporto per salvaguardare i fornitori, mentre solo 1 su 10 ha preferito cambiare fornitore.
Tutto ciò ha portato, per il primo trimestre 2020,a un dato negativo per quanto riguarda la produzione, il fatturato e gli ordini – anche se le realtà italiane hanno performato meglio rispetto ai competitor internazionali – e le previsioni delle aziende, per l’intero 2020, non sono positive (quasi il 50% prevede un forte peggioramento). L’unico settore che registra aspettative migliori è il packaging che ha come settore cliente il comparto farmaceutico, chiaramente influenzato dall’emergenza in corso.
Baraldi chiude con un messaggio incoraggiante in relazione agli scenari possibili nel settore del packaging: “Anche se è difficile fare previsioni in questo momento di incertezza, per quanto riguarda il periodo 2020-2024, prevediamo un calo del mercato mondiale notevole nel 2020, seguito, però, da una risalita rapida e costante. Rispetto al nostro Paese, in particolare, ci aspettiamo che le aziende italiane performino meglio rispetto alla media mondiale”.
Nonostante il momento di difficoltà e incertezza che stiamo vivendo, quindi, questo incontro ci lascia un messaggio fiducioso: il Paese ha gli strumenti per ripartire in fretta e per migliorare rispetto a com’era prima dell’emergenza. La chiave di tutto è la capacità di compiere un’evoluzione tecnologica 4.0.