Il packaging si evolve nuovamente e diventa sempre più data driven e veicolo narrativo per il consumatore, un vero e proprio “media” per raccontare valori e tracciabilità del prodotto. È quanto emerge dalla seconda edizione dell’Osservatorio Out of the box realizzato da Nomisma e Glaxi per Ghelfi Ondulati Spa.
Il secondo evento del 2021, in diretta streaming a dicembre, ha messo in luce l’importanza della tracciabilità per i consumatori italiani e come questa venga comunicata dalle aziende, soprattutto quando si tratta di Made in Italy.
Alla presentazione hanno partecipato Roberta Gabrielli, Project Manager Nomisma, Furio Camillo, docente di Statistica economica dell’Università di Bologna e responsabile scientifico dell’Osservatorio, Paolo Iabichino, Creative Director che ha firmato la piattaforma “Out of the box”, oggi divenuta anche Osservatorio, Rinaldo Rinaldi, docente di Supply Chain Management all’Università di Firenze, Giulia Bizzarri, Marketing Manager Nostromo e Antonella Di Tonno, Amministratore Unico Cantine Talamonti.
Vediamo ora i principali dati emersi e le riflessioni che ne sono scaturite, con una particolare attenzione al legame fra tracciabilità e sostenibilità del prodotto.
Il valore della tracciabilità: una garanzia contro la contraffazione
In occasione del primo appuntamento 2021 dello scorso giugno, l’Osservatorio – al suo secondo anno di attività – aveva anticipato i trend del mondo del packaging dopo il Covid-19, svelando il ruolo crescente della sostenibilità ed evidenziando come il pack fosse sempre di più un vero e proprio media, utilizzato – e scelto – per garantire la sicurezza del consumatore, salvaguardare la tracciabilità del prodotto e creare un filo diretto tra azienda e cittadini.
L’appuntamento online di Out of the box di dicembre si è soffermato, invece, sulla tracciabilità. Secondo la legislazione dell’UE, per “tracciabilità̀” si intende la capacità di rintracciare qualsiasi alimento, mangime, animale da produzione alimentare o sostanza utilizzati per il consumo, attraverso tutte le fasi di produzione, lavorazione e distribuzione. “Si tratta dunque dello strumento in grado di supportare la verifica delle certificazioni dei prodotti di qualità per ‘scardinare’, tra gli altri, gli scandali alimentari che ogni tanto, purtroppo, leggiamo in cronaca” – ha commentato Roberta Gabrielli, Project Manager Nomisma.
In questa ottica, diventa determinante poter puntare sugli strumenti digitali e sulla tempestività delle informazioni in tempo reale. Alla base di questo nobile obiettivo c’è quindi la digital transformation, una “rivoluzione” capace di fornire con tempestività alla filiera e ai consumatori l’insieme di informazioni necessarie a comprendere la provenienza e avere allo stesso tempo precise garanzie su sicurezza e qualità del prodotto.
La contraffazione minaccia il Made in Italy: le tecnologie blockchain sono una possibile soluzione per contrastarla – Roberta Gabrielli
Ma cosa succede se manca la tracciabilità di un prodotto? “Si crea lo spazio per la contraffazione, un grave reato economico che danneggia l’economia mondiale, le imprese e i singoli Paesi” – ha spiegato Roberta Gabrielli. Basti pensare che ammonta a 12,4 mld di euro il valore delle merci contraffatte importate in Italia nel 2016, contro i 10,4 mld di euro del 2013 (+15,4%), seguendo un trend in ascesa poco confortante.
Ad essere interessato da questa piaga è anche il Made in Italy: nel 2016 il commercio mondiale di prodotti contraffatti, che violano i marchi registrati italiani, è stato di 31,7 miliardi. Fra i settori più penalizzati, l’abbigliamento (17%), l’elettronica di consumo (15%) e l’agrifood (13%). Eppure, oltre metà delle merci sono acquistate dai consumatori in buona fede, convinti cioè di comprare merci autentiche. Niente dolo dunque, ma solo un mancato controllo delle corrette informazioni.
Davanti al crescente problema della contraffazione occorre evidentemente cercare delle soluzioni. “Per individuarle ci siamo concentrati sul mondo delle tecnologie blockchain, che hanno avuto un rapido sviluppo tra 2016 e 2020. La mappatura condotta dal Politecnico di Milano ha individuato 1242 casi totali divisi fra progetti operativi, progetti pilota, concept e annunci. Escludendo gli ultimi, sono 508 i progetti attualmente in pista a livello mondiale. L’Italia è il sesto Paese al Mondo per iniziative di blockchain, con un valore complessivo di 23 miliardi; ma di questi processi di blockchain, l’agrifood copre solo il 7% dei casi. Considerando tutte le eccellenze di questo settore, è un aspetto che andrà certamente implementato e potrà registrare una crescita nel prossimo futuro” – ha affermato Roberta Gabrielli.
A livello globale si stima che nel 2021 saranno spesi quasi 6,6 miliardi di dollari in soluzioni blockchain, con una crescita del 50% rispetto al 2020 e una previsione di ulteriore aumento del 48% nel 2024. Il 60% della spesa coinvolge diversi settori e progetti operativi nell’ambito della finanza, nell’agroalimentare, nell’utility e nella Pubblica Amministrazione. Stati Uniti, Cina e Giappone sono i primi tre Paesi per numero di progetti avviati.
L’identikit degli Ambassador della tracciabilità: donne che credono nei valori della famiglia e nel rispetto dell’ambiente
Grazie alle analisi effettuate e attraverso le interviste formulate a circa 3.000 soggetti all’interno del panel Glaxi rappresentativo della popolazione italiana fra i 18 e i 75 anni, è stato possibile disegnare l’identikit degli Ambassador in relazione alle loro caratteristiche socio-demografiche e ad altri elementi rilevanti nel processo di acquisto, come ad esempio le scelte per la sostenibilità, gli stili di packaging, le caratteristiche ricercate in un packaging innovativo, i trend futuri di acquisto e la disponibilità a pagare per un brand responsabile. “In questo modo abbiamo tracciato una carta d’identità del consumatore, che ci ha permesso di individuare gli ambasciatori della tracciabilità, ovvero i consumatori italiani che, rispetto a tutti gli altri, presentano dei valori superiori alla media per quanto riguarda gli ambiti analizzati” – ha spiegato Roberta Gabrielli.
Gli ambassador della tracciabilità sono principalmente donne, over 51, residenti prevalentemente al Sud e nelle Isole e credono nei valori della famiglia, nel lavoro e nel rispetto dell’ambiente e degli animali, un aspetto quest’ultimo che ritorna nelle scelte d’acquisto. Hanno un reddito familiare (che non ha risentito del Covid) di poco inferiore ai 4 mila euro mensili, tendono a mettersi a servizio dell’altro, costruendo relazioni sociali gratificanti. Coerentemente ai propri valori, tra le informazioni di tracciabilità desiderate emergono, più delle altre, quelle in grado di certificare ottimali condizioni lavorative, identificare in modo univoco il prodotto e fornire informazioni sulla qualità e sulla provenienza biologica, elementi che si rispecchiano anche nell’estetica del pack scelto.
“Si tratta di un profilo di forte consumatrice, che quindi è responsabile della spesa e pertanto ha aspettative ben precise rispetto agli atteggiamenti etici delle imprese. Questi ambassador, infatti, ritengono indispensabili le condizioni lavorative delle persone coinvolte nella filiera, l’univocità del prodotto, la qualità e le informazioni che riguardano la biologicità del prodotto alimentare” – ha osservato Roberta Gabrielli.
La ricerca ha permesso, quindi, di misurare gli atteggiamenti degli ambassador in relazione alla sostenibilità e quindi, di conseguenza, quali comportamenti esigessero dalle imprese che si definiscono sostenibili ed eco-friendly. Gli ambassador manifestano preferenze particolari negli stili di packaging, soprattutto per quanto riguarda gli imballaggi ecologici e quelli per i prodotti biologici e sostenibili.
Gli ambassador e gli acquisti futuri
Per quanto riguarda gli acquisti futuri di alimenti confezionati, gli ambassador dichiarano di prediligere un packaging sostenibile, che tuteli la sicurezza del prodotto e la salute del consumatore. Questo si traduce in alcune scelte concrete, come ad esempio quella di preferire un prodotto ben impacchettato, con un pack che presenta immediatamente le caratteristiche e, non ultimo, il fatto che il prodotto sia ‘healthy’, ovvero rivolto a tutelare la salute.
“Abbiamo incrociato le preferenze degli ambassador con le caratteristiche ricercate per un pack innovativo, in particolare per un prodotto alimentare confezionato, individuando dei macro pilastri di interesse. Un pack innovativo deve essere in grado di garantire informazioni sulla freschezza del prodotto, sulla tracciabilità, sulla qualità e sulla durabilità, nonché permettere l’accesso a una community virtuale”.
In ultimo, esiste tra gli ambassador una intensa disponibilità a pagare fra l’1% e il 5% in più del prezzo del prodotto, per poter acquistare un bene realizzato da un brand responsabile. La stessa disponibilità è molto meno pronunciata per un aumento tra il 15% e il 20% in più, “Questo significa – conclude Roberta Gabrielli – che la responsabilità di riuscire a realizzare un prodotto sostenibile è demandata quasi integralmente all’impresa e in questa logica la compartecipazione fra consumatore e impresa non vede le parti sullo stesso piano, ma uno sbilanciamento verso la seconda”.
La tracciabilità migliora il prodotto – Furio Camillo
La seconda parte dell’evento ha indagato il concetto delle “personas” della tracciabilità, ovvero come leggono i cittadini questo riferimento in etichetta e quali informazioni ricercano e si aspettano di trovare nel pack, rispetto ai prodotti alimentari. “Tracciabilità e percezione della tracciabilità come entità di comunicazione che arricchisce il prodotto che il consumatore acquista sono ormai temi molto studiati nel mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Cina” – ha esordito il Prof. Furio Camillo, docente di Statistica economica dell’Università di Bologna e responsabile scientifico dell’Osservatorio.
La prima evidenza restituisce un dato eloquente: la tracciabilità migliora il prodotto in modo sostanziale, dal punto di vista della sicurezza (85%), della conservazione (83%) e in funzione di una scelta basata sulla fiducia e la credibilità del prodotto stesso (82%).
Sulla base delle risposte fornite dagli intervistati a un elenco di 21 possibili obiettivi che la tracciabilità dei prodotti alimentari può avere, sono state individuate 5 tipologie “naturali” di persone. “È stato volutamente scelto il settore dei prodotti alimentari poiché lo spettro delle ragioni della tracciabilità è più ampio rispetto ad altri settori e quindi, quello alimentare, può definirsi come il comparto di prodotti emblematici per discutere coi cittadini-consumatori di tracciabilità” – ha spiegato Furio Camillo.
Ciascun profilo rappresenta, dunque, un modo di intendere la tracciabilità e il suo ruolo:
- per il 35% degli italiani la tracciabilità serve per il consumo e il consumatore;
- per il 26% serve per la sostenibilità;
- per il 19% serve per la conservazione del prodotto e del gusto;
- per il 12% serve per consapevolezza e razionalità
- per l’8% serve per l’origine del prodotto.
“Molto interessante è il fatto che ben il 26% interpreti la tracciabilità come qualcosa di collegato alle definizioni più larghe e compiute dello sviluppo sostenibile. Così come è rilevante un gruppo di italiani, che pesa ben il 35%, e che percepisce la tracciabilità come qualcosa di incredibilmente legato al consumatore, dal favorire una spesa maggiore a fare in modo che sia un aspetto che aumenti la necessità delle aziende di ascoltare le esigenze dei consumatori. Ed è isolabile e significativa la quota dell’8% che riconduce la tracciabilità all’origine geografica del prodotto, ovvero l’idea di raccontare la provenienza attraverso la tracciabilità. Parlando di Italia e di prodotti alimentari questo diventa un valore non trascurabile – ha precisato Furio Camillo.
A queste 5 tipologie naturali corrispondono determinate preferenze in materia di packaging, che coinvolgono le informazioni contenute in etichetta, l’aspetto, il design e il racconto dell’imballaggio. Dati questi che evidenziano precise corrispondenze demo-socio-psicografiche fra le personas e il packaging.
“All’interno della fetta del 35%, rispetto al racconto della tracciabilità, l’estetica e i dettagli del packaging sono molto importanti per i consumatori: il pack, infatti, deve trasmettere un senso di evasione e comunicare il valore storico del brand”. Per quanto concerne, invece, il profilo sostenibile, prevalgono contrariamente alle previsioni i boomers e i pre boomers, ovvero gli over 60, rispetto ai giovani. “Si tratta di persone accomunate da valori forti, come l’altruismo, la generosità e la solidarietà, che comprendono il ruolo dell’innovazione nella società e che mettono al primo posto nella tracciabilità la sostenibilità della filiera, interrogandosi ad esempio sulle condizioni dei lavoratori”.
I giovani 18-25 anni e la tracciabilità: un segmento ancora da decifrare?
Secondo l’indagine, nessuno degli obiettivi fissati dal modello sembra interessare ai giovani 18-25 anni. “In altri termini, sanno cosa vogliono trovare come informazioni sulla tracciabilità, ma di fatto non sanno a cosa serva. Un risultato inatteso per un sottogruppo estratto in base all’età dai 5 profili naturali” – ha commentato Furio Camillo.
Ma cosa significa nel dettaglio questa apparente distanza? “I più giovani non caratterizzano alcuna tipologia in maniera particolare, anzi sembrano spalmarsi più o meno omogeneamente su tutti i gruppi. Uno zoom analitico sulla classe d’età 18-25 anni ha permesso di scoprire che di fatto i giovani non individuano un set di possibili obiettivi della tracciabilità, quasi come se per loro fosse scontato che si debba essere in grado di conoscere tutto dei prodotti alimentari sul mercato, mediante meccanismo produttivo, comunicativo e distributivo ovviamente trasparente”.
I giovani in definitiva sanno benissimo cosa costituisce “tracciabilità”, individuando elementi come “l’onestà e la trasparenza dei brand” o “le condizioni lavorative delle persone coinvolte nella produzione”, ma non pensano che la tracciabilità abbia degli obiettivi particolari, se non forse il fatto che faccia parte di un “mondo nuovo” in cui valori alti, come la trasparenza e l’onestà, siano alla base della nostra vita e quindi anche la tracciabilità sia qualcosa di scontato, poiché determina per brand e prodotti un elemento che deve essere uno standard nel modo di affrontare il mercato nei tempi prossimi.
“Per i giovani l’eco sostenibilità è un prerequisito per stare sul mercato” – Paolo Iabichino
L’approfondimento sui giovani in merito al presunto legame tra packaging e sostenibilità è stato oggetto del terzo intervento, affidato a Paolo Iabichino, creative director. Dalla sua esperienza sul campo emergono gli elementi per nuove riflessioni e alcuni concetti chiave destinati a modificare alcuni paradigmi della comunicazione. “L’ecosostenibilità è un prerequisito per stare sul mercato. I giovani, dunque, danno per scontata la tracciabilità, quindi le marche che vengono ammesse nelle loro vite, che si tratti di moda o di food, ne devono prendere atto. É altresì normale che per i giovani il packaging debba essere rassicurante: non ci dimentichiamo che le ricerche dell’Osservatorio si collocano in un periodo non facile a causa del Covid-19, dunque non sottovaluterei il ruolo rassicurativo che le marche stanno recitando durante e dopo il lockdown, nei confronti delle persone che sono disorientate. La stessa confezione di biscotti che in tempi ‘normali’ incontrarvi sul tavolo e passava inosservata, oggi assume un valore consolatorio. Dunque il packaging non va sottovalutato. E soprattutto non è più un involucro, un contenitore, ma è un media straordinario; lo era anche prima, ma solo per gli addetti ai lavori”.
Pacchi, scatole e latta diventano delle televisioni – fatte salve le premesse sulla sostenibilità – se usate con un linguaggio creativo contemporaneo e il supporto della tecnologia, come il QR code. Il pack diventa quindi come un gate narrativo che ti porta dentro un racconto di filiera, ma ti può raccontare la tracciabilità. “Sostenibilità e tracciabilità, per la Gen Zeta, devono essere non più un vanto di marketing o un oggetto di comunicazione, ma un asset preciso per stare sul mercato. Nel momento in cui questo non avviene, la marca esce dalla loro shopping list e non ci rientra più. Le marche che risarciscono per recuperare il gap, ottengono una seconda chance, mentre quelle che nascono già sostenibili assumono un ruolo di primissimo piano, diventano champion all’interno delle loro esistenze”.
Da queste osservazioni possiamo dedurre tre aspetti:
- gli Zeta non si conquistano con la narrazione sull’imballaggio sostenibile, perché i giovani vanno direttamente alle fonti;
- il packaging può assolvere una funzione narrativa più alta, che mettiamo a disposizione attraverso gli habitat digitali, diventando quasi un software;
- il packaging svolge una funzione creativa, di entertainment, purché abbia assolto le istanze di sostenibilità che si danno per scontate come pre requisiti.
La pubblicità civile: scrivere in maniera gentile e occuparsi del mondo
Come conciliare allora la richiesta delle aziende di consumare di più se poi la stessa comunicazione deve invitare a un consumo più consapevole, quindi attento, misurato, che eviti gli sprechi? “Esiste un filone di pensiero, una riflessione in atto, che oltre alla letteratura psicologica ed economica coinvolge finalmente anche il marketing, secondo il quale la narrazione della crescita a tutti i costi non è più attuale perché non sostenibile, in base a come vogliamo ridisegnare il nostro mondo, partendo dalle basi. È l’equivoco del PIL, quando in realtà Il Covid ha rivelato un sistema straordinario di interconnessioni fra persone e persone, ma anche fra persone e cose, fra intelligenza artificiale e analogica. Pertanto, se vogliamo superare questo cortocircuito e dare anche una nuova dignità al nostro mestiere, anche bonificando dalle tossine degli anni passati, dobbiamo pensare al concetto di pubblicità civile, che significa due cose: scrivere in maniera gentile e occuparsi del mondo fuori, rispondere alle istanze socio-culturali che sfuggono dalle sale riunioni e dai power point aziendali, ma che entrano prepotentemente nella vita delle persone e cui dobbiamo occuparci, anche attraverso la pubblicità. In questa direzione il packaging può rivestire ancora un ruolo rilevante, a patto che a monte ci sia una progettualità di azione sul territorio, sulla vita delle persone, finché l’imballaggio resterà fra noi a veicolare merci, servizi e informazioni” – conclude Iabichino.
“Educare il consumatore all’importanza di scoprire le storie che si celano dietro un prodotto” – Rinaldo Rinaldi
La riflessione sul ruolo e sulla percezione della tracciabilità è proseguita con l’intervento del Prof. Rinaldo Rinaldi, docente di Supply Chain Management all’Università di Firenze. “Le nostre ultime ricerche pre Covid, che hanno coinvolto un pastificio toscano, confermano che l’85% dei consumatori è disposto a pagare un sovrapprezzo di 10 centesimi, che su un kg di pasta corrisponde al 10%, a patto di avere informazioni certificate. Il link con la sostenibilità può essere raggiunto in questo modo: educando il consumatore alla scoperta delle storie che si celano dietro ogni prodotto attraverso il pack, che diventa quindi un media indispensabile anche per contrastare la contraffazione”.
Occorre pertanto educare il consumatore a pretendere una serie di informazioni che lo aiutino a comprendere perché un prodotto tracciato abbia certi costi. Un aspetto da non sottovalutare nella scelta delle strategie di comunicazione futura delle imprese.
La voce delle aziende sul tema della sostenibilità
La tavola rotonda ha coinvolto anche alcune aziende della filiera alimentare attente al tema della sostenibilità: Nostromo e Talamonti.
“L’impegno sul tema della sostenibilità di Nostromo comincia nel 2018, quando abbiamo visto dalle nostre ricerche come sta diventando fondamentale adeguarsi alle richieste dei consumatori. Così abbiamo sviluppato la catena del valore ‘Dal mare alla tavola’, una promessa di sostenibilità che viene mantenuta grazie alla tracciabilità, risolvendo le problematiche che riguardano la nostra filiera” – ha raccontato Giulia Bizzarri, marketing manager di Nostromo.
Il packaging è dunque lo strumento a disposizione del consumatore per approfondire la tracciabilità. “Un pack al 100% riciclabile che contiene già moltissime informazioni accessibili in materia di tracciabilità del prodotto”.
Il percorso narrativo si è poi spostato su come sia possibile salvaguardare e valorizzare la tracciabilità per promuovere le eccellenze del Made in Italy. “L’impresa Talamonti ha scelto di non interpretare la tracciabilità come mero obbligo burocratico d’impresa ma, operando nella logica di porre il cliente al centro, ha deciso di far vivere attraverso il vino e il packaging primario e secondario l’Abruzzo ai propri consumatori, valorizzando anche grazie alla tracciabilità l’eccellenza del Made in Italy e l’identità che rappresentano” – ha raccontato Antonella Di Tonno, Amministratore Unico Talamonti.
“Quando la tracciabilità diventa patrimonio dell’azienda, viene condivisa all’interno del gruppo di lavoro e arriva al consumatore, può essere vissuta come un investimento. Il packaging è fondamentale, fa parte dell’identità del prodotto, del suo DNA e deve fornire una comunicazione coerente con quelli che sono i valori dell’azienda. Perché il consumatore ha bisogno di fidarsi dell’azienda.
Siamo di fronte a un cambiamento epocale, che il Covid sta accelerando. Questa attenzione alla sostenibilità e all’efficientamento dei processi nel rispetto delle persone, dei territori, dell’ambiente e di tutti gli elementi della catena va cavalcata e non disattesa perché l’azienda oggi ha una maggiore responsabilità nei confronti dei consumatori”.
Gli Osservatori Nomisma, uno strumento prezioso per decifrare il presente e orientare le decisioni future
Gli Osservatori di mercato Nomisma sono strumenti preziosi, che permettono alle aziende di interpretare correttamente le evoluzioni del mercato. Realizzati grazie alla solida esperienza maturata da Nomisma in molteplici settori, in un momento storico delicato come quello che stiamo attraversando a causa della pandemia di Covid-19, permettono di tenere costantemente monitorati i cambiamenti sociali ed economici in atto e di anticipare le tendenze del futuro, per consentire ad aziende e pubbliche amministrazioni di adottare le strategie più opportune.
Per maggiori informazioni sugli Osservatori Nomisma è possibile scrivere a osservatori@nomisma.it
Qui, invece, è possibile rivivere la diretta streaming di presentazione dell’Osservatorio Out of the box