Tassa sugli extraprofitti delle banche: l’intervento di Roberto Anedda, Senior Advisor di Nomisma, alla Camera dei Deputati

10 ottobre 2024 – Nell’ambito dell’esame della proposta di Legge C. 1749 Francesco Silvestri, recante «Modifiche all’articolo 26 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 136, in materia di proroga dell’applicazione dell’imposta straordinaria calcolata sull’incremento del margine di interesse e di destinazione dei proventi a misure di sostegno in favore dei titolari di mutui per l’acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione», Roberto Anedda, Senior Advisor di Nomisma, ha presentato una relazione in audizione di fronte alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Di cui di seguito riportiamo il testo dell’intervento.

Per inquadrare la proposta relativa alla tassa sugli extraprofitti delle banche è opportuno sottolineare come diversi paesi europei (Belgio, Olanda, Irlanda, Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania) abbiano introdotto delle tassazioni straordinarie sugli istituti bancari, ma ognuno con modalità diversamente articolate e nessuno con formula simile a quella della legge 104/23 o della proposta di legge AC 1749.

Ad esempio, in Belgio la tassa è parametrata sul valore dei depositi, in Irlanda si applica solo alle banche che hanno ricevuto aiuti di Stato, L’Olanda tassa i buyback, in Spagna l’onere grava anche sui redditi da commissioni nette.

In Italia per l’esercizio 2023 tutti i principali istituti di credito hanno optato per l’accantonamento a riserva di cifre pari a 2,5 l’importo dell’imposta dovuta, come previsto dalla legge 104/23. I primi cinque istituti per volume di fatturato hanno accantonato complessivamente oltre 4 miliardi di euro.

I ricavi sul margine d’interesse sono solo uno tra i diversi elementi di profitto degli istituti di credito, ma il peso sui risultati finali di bilancio può essere molto diverso da banca a banca, in funzione delle singole strutture di costi e dei business model.

Una tassazione standardizzata potrebbe quindi implicare il rischio, anche a parità di valore di prelievo, di produrre effetti economici e finanziari qualitativamente diversi sui singoli istituti in termini di bilancio, redditività, quotazione, operazioni di mercato. Con una conseguente notevole difficoltà nell’effettuarne una stima adeguata e prospettica e senza voler considerare le eventuali ulteriori complessità derivanti da un’applicazione retroattiva su periodi d’imposta e di bilancio già trascorsi.

Tra luglio 2022 e settembre 2023 la BCE ha progressivamente incrementato il costo del denaro da 0 al 4,5%, con il conseguente aumento degli indici Euribor dal valore di -0,50% (sul quale stazionavano dal 2016) fino alla soglia del 4%, valore a cui sono rimasti fino a maggio 2024 e che non toccavano dal 2008.

Su un mutuo a tasso variabile sottoscritto negli ultimi dieci anni, tale incremento ha generato un aumento della rata mensile fino all’80% per un mutuo di 20 anni e al 120% per uno di trent’anni.
Alla luce di questo, su un mutuo di 120.000 euro la spesa complessiva per interessi nei due anni è passata dai precedenti 2.400 euro ad una fascia dagli 8.000 agli 11.000 euro, a fronte di rate mensili stabili tra i 400 e i 500 euro fino a giugno 2022.

Nello specifico va rimarcato come in Italia la quota di mutui erogata a tasso variabile sia sempre stata storicamente più elevata rispetto alla media dell’area Euro, con punte dell’80% fino al 2015 e con una quota attuale intorno a 1/3 totale mutui in corso, per un valore stimabile di oltre 140 miliardi di euro ripartiti su oltre un milione di famiglie.

Il possibile contributo derivante dalla proposta di destinazione del gettito d’imposta a sostegno di tali mutuatari corrisponderebbe ad un importo indicativo compreso tra i 1.600 e i 2.600 euro, stante il limite massimo posto di due rate per ciascuna annualità. Tale ristoro sarebbe, pertanto, assai limitato rispetto all’incremento di costi complessivi già subiti dalle famiglie a causa dei maggiori interessi pagati nei due anni.

Peraltro, le prospettive della possibile graduale riduzione del costo del denaro da parte della BCE proiettano attualmente il livello minimo degli Euribor intorno all’1,80% per la metà del 2026 ed un successivo livello di equilibrio di lungo termine intorno al 2,5%, prospettando di conseguenza per i mutui in corso a tasso variabile un futuro di rate destinate a permanere ben più elevate rispetto ai livelli pre-aumenti e  con un peso sul reddito delle famiglie assai superiore a quanto pianificato al momento della concessione del mutuo.

Da rilevare anche che il forte incremento degli ultimi due anni ha portato le rate dei mutui in corso a superare spesso e di parecchio il rapporto rata/reddito, tipicamente intorno al 30-35%, che gli istituti di credito normalmente utilizzano quale criterio prudenziale nella concessione di un mutuo. Ne deriva il paradosso che, pur essendo già da molti mesi disponibili sul mercato mutui di surroga a tasso fisso ben inferiore agli attuali tassi variabili, molte famiglie non possano farvi ricorso in quanto la loro rata risulterebbe comunque superiore a tale soglia, trovandosi così a non poter accedere ad una rata più contenuta ed essere costretti a continuare a pagarne una ben più alta.

In alternativa, tra le misure a supporto delle tante famiglie che si trovano a gestire una importante riduzione strutturale del proprio reddito disponibile potrebbe essere valutata l’introduzione di un fondo di garanzia volto a permettere l’accesso ad una rinegoziazione del mutuo a tasso fisso con la propria banca o con altro istituto tramite surroga, in modo da rendere immediata una più sostanziale e stabile riduzione della rata di mutuo sostenuta.

 

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