Assistenza agli anziani: un modello innovativo tra integrazione e welfare di comunità nelle aree interne del Paese

Servizi Tecnici

Un sistema di sviluppo economico e sociale alternativo alle RSA, che favorisca l’invecchiamento attivo e, allo stesso tempo, rivitalizzi i territori interni del Paese. È questa l’idea progettuale emersa da uno studio condotto da Nomisma per Fondazione con il Sud. Il progetto permetterebbe all’anziano di accedere a un modello assistenziale diverso da quello attuale, focalizzato sull’integrazione e sul welfare di comunità. Inoltre, si tratterebbe di un’iniziativa che riattiverebbe la vita sociale ed economica di alcune aree della penisola, soprattutto nel Mezzogiorno. 

Ne abbiamo parlato con Luigi Scarola, Responsabile Sviluppo Territoriale ed Economia Sociale di Nomisma: scopriamo di più su questo progetto e sui benefici che porterebbe.

Luigi, che cosa pensa dell’attuale sistema assistenziale rivolto agli anziani che vede come perno centrale le RSA?

Questo modello è frutto di una concezione che vede l’anziano principalmente come un costo da gestire. Facendo gli opportuni distinguo, perché esistono anche delle eccellenze, in gran parte delle RSA si tocca con mano questo paradigma interpretativo. Un sistema diventato insostenibile dal punto di vista sociale, etico ed economico, le cui criticità sono emerse in maniera drammatica durante la pandemia.

Gli anziani sono una delle componenti più numerose della popolazione e in futuro lo saranno sempre di più. Si stima che nel Paese, tra 30 anni, il 34% degli italiani avrà più di 65 anni e il 21% più di 75 (le percentuali attualmente sono del 23% e del 12%). Se le persone anziane continueranno a essere considerate un peso sociale, incapaci di offrire un contributo utile alla collettività, l’assistenza rischierà di trasformarsi in un problema molto difficile da gestire.

Secondo la sua esperienza, su cosa dovrebbe basarsi un sistema di assistenza più efficace? In particolare, quali sono le esigenze a cui il modello dovrebbe saper rispondere e che quello attuale non è in grado di soddisfare?

L’attuale modello si basa su una netta separazione tra componente sociale e sanitaria. Bisognerebbe smettere di leggere il sociale e il sanitario come due mondi separati e puntare a una maggiore integrazione dell’anziano in un contesto di comunità, idea che portiamo avanti da diversi anni e che oggi è ripresa anche dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). I progressi clinico-diagnostici, infatti, hanno portato a un innalzamento della speranza di vita e, di conseguenza, al prolungamento del periodo di anzianità attiva. In contemporanea, si assiste però a un aumento delle cronicità e delle multimorbilità conseguenti all’invecchiamento stesso. Nel nostro concetto di welfare, le persone dovrebbero essere curate in ospedale solo per le acuzie, mentre le problematiche non acute, dunque le cronicità legate all’età, dovrebbero essere gestite all’interno dell’ambiente e della comunità in cui risiede. Ma tra i due mondi deve esistere una continuità di cura che vede le esigenze dell’anziano come elemento di unione.

Servono soluzioni capaci di coniugare i cambiamenti epidemiologici con quelli demografici, sociali ed economici. È una problematica complessa che dev’essere però affrontata senza scorciatoie. Si pensi, ad esempio, alle implicazioni che derivano dai radicali mutamenti nella composizione delle famiglie. Ci sono meno figli rispetto al passato e questi sono spesso lontani dai territori di origine, impossibilitati dunque a prendersi cura dei parenti anziani. Tutto ciò sta facendo venir meno (e lo farà sempre più) la principale rete di welfare del Paese, quella parentale, a cui si unisce un sistematico taglio dei fondi al welfare stesso. 

Questo insieme di trasformazioni porta a una crescita della domanda, da parte della popolazione anziana, di servizi e di senso di comunità

Parliamone meglio: può spiegarci com’è nata l’idea di questa iniziativa e in cosa consiste? 

L’idea è nata dalla considerazione che, attualmente, mancano modelli alternativi alle RSA capaci di gestire questa complessità. 

Eppure, in Italia, ci sono tutti gli elementi per un reale cambio di passo. E il cambio di passo può aversi mettendo insieme esigenze individuali, esigenze collettive e potenzialità ‘assopite’. 

Con il supporto di Fondazione con il Sud abbiamo pensato quindi di progettare un modello di sviluppo economico-sociale capace di unire due esigenze differenti: realizzare un welfare di comunità che favorisca l’invecchiamento attivo, restituendo dignità all’anziano, e al contempo agevolare la rivitalizzazione economica e sociale delle aree interne del Paese dove la qualità di vita è ancora elevata. Il nostro Paese vanta una profonda tradizione di integrazione, un terzo settore radicato e diffuso.

Soprattutto nel Mezzogiorno abbiamo territori dotati di una vocazione naturale all’ospitalità e in grado di legare socialità, integrazione, partecipazione attiva. Allo stesso tempo, sono zone che presentano una serie di problematiche generate essenzialmente dalla mancanza di funzioni economiche e dal conseguente spopolamento. Vi sono ampie zone del Paese dove il rischio di disperdere risorse culturali, ambientali e identitarie è davvero molto elevato.

Si tratta di un problema ampiamente sentito: a Nomisma arrivano quotidianamente richieste di supporto da parte di enti locali e regioni per trovare o rafforzare funzioni economiche capaci di rinvigorire questi territori. Per tanto tempo si è cercato di far leva sul pregio ambientale e paesaggistico delle aree interne, tentando la via del turismo per sostenere l’economia. Tuttavia non sempre si è riusciti a segnare una reale svolta. Si tratta di realtà con un patrimonio enorme di seconde case che oggi, spesso, si trovano in condizioni di degrado e abbandono con impatti rilevanti anche a livello paesaggistico. Le cause sono i mutamenti delle abitudini dei turisti: offerta low cost per vacanze oltre confine, diradamento delle famiglie, meno tempo da dedicare alle vacanze e, conseguentemente, fruizione limitata delle seconde case.

Con il nostro progetto abbiamo cercato di comprendere quali sono gli elementi utili da mettere in campo per rispondere all’esigenze determinate da un invecchiamento attivo e rivitalizzare, dando nuove funzioni economiche ai territori delle nostre aree interne. 

Da un lato, quindi, perseguire politiche di invecchiamento attivo, dando l’opportunità di pensare a soluzioni che favoriscano, oltre agli standard di salute, la partecipazione, l’inclusione, la socialità, l’indipendenza e l’autonomia della persona. Dall’altro, offrirebbe la possibilità di riattivare l’economia di aree importanti del Paese. L’idea è quella di permette alla persona di vivere in un luogo che favorisca la costruzione di un sistema di comunità, anziché all’interno di una struttura ‘protetta’.

Abbiamo pertanto identificato dei comuni italiani che, per caratteristiche strutturali e sociali, potrebbero essere adatti a ospitare la popolazione anziana, considerato il sistema di servizi (e in generale di domanda) che attiverebbe e calcolato l’impatto economico che ne deriverebbe.

Quali caratteristiche devono avere i comuni potenzialmente idonei a questo progetto? 34 di questi sono stati individuati nella regione Puglia: che cosa rende questo territorio particolarmente adatto?

I comuni sono stati individuati sulla base di diversi criteri. Innanzitutto, devono garantire un adeguato livello di urbanizzazione, dunque essere dotati di ospedali vicini e di una buona rete di trasporti (stazione, rete stradale e autostradale), in modo che la persona possa spostarsi facilmente ogni qualvolta lo desideri o ne abbia la necessità. Allo stesso tempo devono essere di dimensioni contenute e coinvolti da fenomeni di spopolamento. Completano il profilo un basso tasso di flussi turistici, una buona presenza di seconde case, ormai inutilizzate, e un tasso di invecchiamento contenuto: si prediligono, infatti, i comuni con una quota non marginale di popolazione giovane. 

Molti di questi sono stati individuati in Puglia. La regione, infatti, è ricca di centri di eccellenza: vanta risorse naturali e paesaggistiche uniche, inoltre offre una qualità di vita e di servizi che si sposa perfettamente con la nostra idea di integrazione e di welfare di comunità. 

In che modo il progetto migliorerebbe la qualità di vita degli anziani? Che genere di servizi e iniziative sarebbero previsti?

Utilizzando il grande patrimonio di seconde case presente nelle zone interne del Paese, l’anziano vivrebbe in una casa in modo autonomo, usufruendo di una serie di servizi in grado di garantirne assistenza, sicurezza e adeguata qualità di vita. Tra l’altro esistono oggi tecnologie che rendono possibili, ed economicamente vantaggiose, funzioni di assistenza da remoto inimmaginabili solo dieci anni fa. Le esigenze di cura e assistenza sono tra l’altro uno straordinario veicolo di creazione di occupazione buona. 

Quali sono i vantaggi che il progetto porterebbe sul territorio? In particolare, che cosa è emerso dal caso studio condotto in collaborazione con il comune di Cursi, in provincia di Lecce?

Con il comune di Cursi (centro di 4000 abitanti a 30 Km da Lecce) abbiamo raccolto dati e informazioni per capire quale potrebbe essere l’impatto di un simile progetto sul territorio. È stato quindi simulato l’arrivo di 150 anziani (50 persone sole e 50 coppie) ed è stata calcolata, per ognuno dei comparti di spesa, la portata economica che ne deriverebbe. 

Secondo l’indagine si creerebbe un indotto economico pari a 1,65 milioni di euro annui, ovvero 7 volte maggiore rispetto a quello generato dal comparto turistico. Il 55% verrebbe speso direttamente nell’area comunale, mentre il 28% nell’area del comprensorio e in quella dei comuni confinanti. La parte restante, invece, avrebbe una ricaduta al di fuori del territorio di riferimento. 

I vantaggi si rifletterebbero anche sull’occupazione. Abbiamo analizzato la struttura dei servizi del territorio e calcolato  che questa iniziativa potrebbe contribuire alla nascita o rafforzamento di operatori del campo dell’assistenza e i servizi connessi, permettendo di creare, nel comprensorio, circa 30 posti di lavoro in più

Non dimentichiamo che tutto questo avrebbe anche effetti positivi per quanto riguarda il recupero del patrimonio delle seconde case, con conseguente riqualificazione paesaggistica

A suo parere, cosa servirebbe per stimolare la popolazione anziana ad aderire a un progetto del genere? Pensa che sarebbero necessarie delle forme di incentivo?

Sì, siamo convinti che bisognerebbe lavorare anche sulla leva fiscale per accendere i riflettori su un’iniziativa simile e per rendere più attrattivo, per gli anziani, il trasferimento verso questi comuni. Dato l’impatto che potrebbe avere sul territorio, infatti, è anche interesse del legislatore, a nostro avviso, far sì che proposte del genere possano avere successo. 

Abbiamo quindi immaginato delle aliquote Irpef agevolate per chi si trasferisce in questi comuni, pur mantenendo una progressione delle stesse. Inoltre, dovrebbe intervenire uno strumento di sostegno come il “Budget di Salute”: le risorse pubbliche che oggi vengono destinate alle RSA potrebbero essere riconvertite e destinate direttamente all’anziano, che le userebbe per sostenersi nel comune in cui ha deciso di trasferirsi.

Il settore Economia sociale di Nomisma mette a disposizione analisi, consulenze, ricerche e valutazioni di impatto che permettono agli enti di conoscere l’efficacia delle proprie iniziative di sviluppo sociale ed economico in ambito nazionale e internazionale. Per sapere di più sui servizi offerti e su questo progetto è possibile scrivere all’indirizzo luigi.scarola@nomisma.it.

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