Operaio a tempo determinato, di genere maschile, con oltre 35 anni di età. È questo l’identikit del dipendente agricolo in Italia emerso dall’analisi dell’Osservatorio EBAN sul lavoro agricolo curato da Nomisma, presentata lo scorso giugno a Napoli, durante l’evento “Il lavoro agricolo tra innovazione e sostenibilità: l’aggiornamento delle attività lavorative del settore primario nell’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni”, organizzato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) e dall’Ente Bilaterale Agricolo Nazionale (EBAN).
Nella propria presentazione di Ersilia Di Tullio, Senior Project Nomisma, ha inoltre messo in evidenza la crescente precarizzazione del settore, il numero, in aumento, dei lavoratori stranieri rispetto ai colleghi italiani e il “caso” della Campania, una regione emblematica per l’agricoltura italiana. Ci siamo occupati dell’andamento dell’agrifood italiano, alle prese con nuove sfide e opportunità globali, in un articolo precedente. Ora, invece, approfondiamo alcuni temi legati in particolare ai lavoratori impiegati nell’agricoltura nel nostro Paese.
L’identikit del dipendente agricolo in Italia
La prima parte dell’indagine Nomisma si è soffermata sulla struttura, le caratteristiche e i trend del lavoro agricolo in Italia, con particolare riferimento alla forza lavoro dipendente.
In Italia sono 1.088.034 i dipendenti in agricoltura (tra full time, part time e stagionali), in maggioranza di genere maschile (68%). Le aziende che occupano manodopera dipendente agricola sono 183.057, ed in media assumono 5,9 dipendenti. Si tratta del 26% del totale delle aziende agricole attive in Italia iscritte alle camere di commercio (703.316). Circa i tre quarti delle aziende agricole presenti in Italia quindi non assumono dipendenti.
Una specificità del lavoro agricolo rispetto ad altri settori è la limitata presenza di figure professionali quali impiegati, quadri e dirigenti, che rappresentano appena il 4% dei dipendenti del settore. Il Nord Italia è il principale bacino di occupazione di queste tre figure professionali, assorbendone il 53%, contro il 21% del Centro e il 26% del Sud. A indicare una maggiore professionalizzazione delle nostre imprese agricole, impiegati, quadri e dirigenti impiegati in agricoltura hanno subito un incremento complessivo del 6% nel periodo 2015-2020, registrando un +1,0% nel 2020 rispetto all’anno precedente, nonostante la pandemia.
Tuttavia nel settore primario prevale nettamente l’impiego degli operai, che sono, infatti, ben il 96% sul totale dei dipendenti, contro l’86% del turismo, il 78% delle costruzioni e il 64% del manifatturiero (la media nazionale del totale economia è pari al 55%).
Conseguentemente gli operai occupati in agricoltura incidono per il 12% sul dato complessivo nazionale, mentre le relative ore lavorate rappresentano il 6% del totale attività̀ economiche. Le differenti quote sono riconducibili al fatto che la manodopera agricola è per la stragrande maggioranza impiegata con contratto a tempo determinato (90%), contro una media nazionale del totale economia decisamente più contenuta (30%). Un altro settore in cui è rilevante la presenza del tempo determinato è il turismo, nel quale però la quota di OTD (operai a tempo determinato) si ferma però al 52%.
In termini di giornate di lavoro medieper operaio, l’agricoltura registra per gli OTI (operai a tempo indeterminato) un valore pari a 251, di poco superiore alla media nazionale (242); per gli OTD il numero medio di giornate lavorate nel settore primario è nettamente inferiore alla media del totale economia (90 su 112).
Gli effetti della pandemia sul lavoro agricolo in Italia
La pandemia ha prodotto i suoi effetti anche nel settore agroalimentare. Nel 2020, infatti, il numero di operai in agricoltura è calato del -0,7% rispetto all’anno precedente, così come anche il numero delle giornate lavorate (-1,3%).
Il COVID ha penalizzato pressoché tutti i settori con un calo complessivo a livello nazionale del -3,3%.
Questa dinamica interrompe un periodo positivo di crescita: nel 2010-2020, infatti, si è registrato un incremento del +2% degli operai e del +6% delle relative giornate lavorate. Inoltre nel corso degli ultimi anni si è assistito anche ad un recupero dell’impiego di OTI, significativamente calati nel precedente periodo 2013-2017, a dimostrazione di positivi segnali di riduzione della precarizzazione del lavoro agricolo. E’ pertanto possibile, che superato lo shock Covid-19, il trend si consolidi ulteriormente.
Lavoratori stranieri agricoli in Italia: crescono i non comunitari
Parallelamente la componente degli stagionali si rafforza grazie alla crescita della presenza di lavoratori stranieri. La stima Nomisma 2020 del numero di lavoratori dipendenti stranieri regolari (iscritti all’INPS) in agricoltura è pari a 329.894, con un’incidenza sul totale in Italia pari al 31%. L’agricoltura detiene, infatti, una quota rilevante di manodopera straniera presente nel Paese rispetto agli altri settori economici privati (8% del totale lavoratori non comunitari e 11% di quelli comunitari).
Nel periodo 2010-2020 la crescita è stata molto elevata per i lavoratori stranieri non comunitari (+85%); viceversa, la componente comunitaria, dopo un lieve aumento nel periodo 2010-2015, mostra complessivamente nel 2010-2020 una consistente riduzione (-32%). Questo dato è confermato anche dall’ultimo anno, con i primi che crescono del +5%, e i secondi che calano del -16% (per una variazione complessiva della componente straniera del -3%).
Fra i fattori che hanno contribuito al calo, si segnala sicuramente la difficile situazione legata alla pandemia, che ha ostacolato i movimenti Italia-estero ed anche all’interno delle penisola.
Per effetto della loro forte crescita i lavoratori non comunitari sono attualmente la maggioranza fra gli stranieri (67% sul totale stranieri) rispetto ai comunitari. Fra i non comunitari, prevale la provenienza africana, in particolare dai paesi del Nord (Marocco e Tunisia) e dell’Ovest del continente (Senegal, Nigeria e Mali), cui si affiancano quote rilevanti di lavoratori dell’Est Europa non comunitari (Albania e Macedonia) e asiatici (India e Pakistan).
Il 92% dei lavoratori comunitari, invece, è rappresentato dai comunitari dell’Est che per la stragrande maggioranza sono rumeni (71%). Meno significativo il contributo di polacchi, bulgari e slovacchi.
Produzione agricola e principali comparti del settore
La produzione agricola italiana è incrementata, negli ultimi dieci anni, del 26%, passando da 48 a 60,4 miliardi di euro. Dopo una lieve flessione nel 2020 (-2,4% rispetto al 2019, con una ricchezza generata dall’agricoltura di 55,7 miliardi di euro), il 2021 ha registrato una confortante risalita (+6%).
I principali comparti agricoli del 2020 sono l’ortofrutticolo (25% sul valore della produzione 2021), le carni e uova (19%), la vitivinicoltura (9%) e i seminativi (9%), cui si affiancano le attività di supporto (7%) e secondarie (7%), anche se alcune di esse, in particolare l’agriturismo e le attività ricreative e sociali, hanno fortemente risentito dell’effetto Covid19.
Il “caso” della Campania
La presentazione dell’indagine Nomisma all’evento di Napoli si è infine soffermata sulla Campania per evidenziare le dinamiche di una Regione di primo rilievo del settore agricolo del meridione.
I numeri emersi restituiscono un quadro simile al panorama nazionale, ma con alcune divergenze, che indicano un leggero ritardo della regione rispetto al dato medio nazionale. In particolare:
- i dipendenti in agricoltura sono 71.240, il 7% sul totale Italia;
- le aziende con dipendenti agricoli sono 12.322 e incidono per il 21% sul numero complessivo delle aziende agricole in Campania;
- 5,8 è il numero medio di dipendenti per azienda agricola;
- impiegati, quadri e dirigenti rappresentano il 3%;
- gli operai (97% sul totale dipendenti) a tempo determinato sono il 93% e lavorano mediamente 92 giorni (contro i 90 giorni a livello nazionale);
- i dipendenti stranieri in agricoltura sono 18.559. Come nel resto del Paese, la variazione negli ultimi 10 anni vede un robusto incremento dei non comunitari (+116%) e una forte diminuzione dei comunitari (-42%).
La consulenza di Nomisma nel settore agroalimentare
Nomisma realizza ricerche e analisi di mercato per fornire consulenza in ambito agroalimentare, comprendere le dinamiche che caratterizzano la filiera e definire le migliori strategie di business per gli operatori sia pubblici che privati. Fra i servizi previsti per monitorare al meglio i trend, Nomisma ha istituito due osservatori, WineMonitor e Agrifood Monitor, disponibili in abbonamento, che permettono l’accesso a dati sempre aggiornati e interpretazioni in tempo reale.