In un contesto complesso e articolato – determinato non solo dall’emergenza sanitaria, ma anche dai trend di lungo periodo come i cambiamenti climatici, la concorrenza internazionale e l’impegno istituzionale preso con l’European Green Deal – oggi viene chiesto alle imprese agricole italiane di vincere una doppia sfida, quella della competitività e della sostenibilità.
L’innovazione è certamente la risposta per vincere queste sfide, ma il fatto di poterla introdurre e applicare nelle aziende agricole non è così scontato e agevole: esiste, infatti, una serie di problematiche non risolte di tipo strutturale, economico, normativo e culturale che ne ostacola la diffusione e inoltre incide negativamente anche una sorta di diffidenza della popolazione verso tutto ciò che in ambito agroalimentare è percepito come “tecnologico/tech”.
Muove da queste premesse la Survey Nomisma – Agrifood Monitor, realizzata in partnership con Crif e presentata lo scorso 16 febbraio in occasione del V Forum Agrifood Monitor e del webinar “L’agricoltura italiana e la sfida dell’innovazione”. Dall’indagine emerge come, in realtà, i pregiudizi verso l’agricoltura innovativa dipendano più da una errata o insufficiente comunicazione/informazione che da un reale “integralismo alimentare” dei consumatori stessi.
I relatori
Il V Forum Agrifood Monitor, inaugurato dagli interventi di Piero Gnudi, Presidente Nomisma, e di Carlo Gherardi, Presidente CRIF, si è sviluppato in due sessioni: la prima, intitolata “L’innovazione in agricoltura tra obiettivi di competitività, sostenibilità e percezione del consumatore”, introdotta da Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare Nomisma, ha visto i contributi di Paolo De Castro, parlamentare europeo e Presidente del Comitato Scientifico di Nomisma, e di Michele Morgante, Professore ordinario di Genetica presso l’Università di Udine.
La seconda, intitolata “La diffusione dell’innovazione tra le imprese agricole italiane: fattori abilitanti e benefici del precision farming”, presentata da Stefano Baldi, Senior Project Manager Nomisma, ha raccolto le testimonianze sul campo di Eros Gualandi, Presidente “Il Raccolto” Società Cooperativa Agricola e Alberto Vezio Puggioni, Head of Agronomy & Technical Department, Netafim spa.
Entriamo ora nel dettaglio dei numeri e delle riflessioni emerse durante il V Forum Agrifood Monitor, legato agli scenari che attendono l’agricoltura nei prossimi 30 anni e alle complesse sfide da vincere per il raggiungimento di una “competitività sostenibile”.
Con la popolazione mondiale in crescita, la domanda di cibo è destinata ad aumentare
Nel 2019 la popolazione mondiale ammontava a 7,7 miliardi di persone, il 54% delle quali concentrata nelle aree urbane. La FAO stima che nel 2050 la popolazione raggiungerà i 9,7 miliardi e che questo incremento richiederà un aumento della produzione di cibo del 60-70% rispetto a quanto prodotto oggi. Il fabbisogno richiesto salirà anche in virtù della crescita dei redditi pro capite concentrata in alcuni Paesi (Cina, Polonia, India, Giappone, Stati Uniti) già nei prossimi 5 anni. Produrre più cibo con queste premesse diventa un obiettivo difficile, ma necessario.
Questo scenario già di per sè problematico è aggravato dal cambiamento climatico (negli ultimi 40 anni è triplicato il numero dei disastri naturali, con evidenti ripercussioni sull’ambiente e sull’agricoltura) e dalla crescente scarsità di terra (0,1 ettari di superficie coltivabile a persona nel 2050 contro gli 0,4 degli anni ‘60) e di acqua (l’Italia preleva il 28% delle risorse d’acqua disponibili ed è quindi considerato in condizione di scarsità idrica), ovvero dei fattori produttivi di base per l’agricoltore. Il pianeta ci parla e non possiamo più ignorarlo.
Date queste premesse, non deve stupire che nel 2019 la Comunità Europea abbia varato un piano d’azione, il Green Deal, che dovrebbe portare l’UE entro il 2050 alla neutralità climatica (zero emissioni nette di gas a effetto serra). All’interno del Green Deal due strategie in particolare – “From Farm to Fork” e “Biodiversity” – fissano gli obiettivi che interessano il settore agricolo e che hanno impatti rilevanti sulle attività di tutta la filiera, perché riguardano:
- la riduzione entro dieci anni degli agrofarmaci chimici del 50% e dei fertilizzanti del 20%;
- l’aumento delle superfici a biologico fino ad arrivare al 25% dell’intera superficie agricola nell’UE entro il 2030;
- la promozione di nuovi modelli per il benessere degli animali, per la sicurezza degli approvvigionamenti e per l’equità dei redditi degli agricoltori;
- la riduzione degli sprechi alimentari e degli imballaggi non ecologici/riciclabili.
Gli obiettivi del Green Deal richiedono concretezza
Il V Forum Agrifood offre l’occasione per riflettere sulle grandi questioni che riguardano il futuro del settore agricolo e alimentare, a partire dall’indirizzo che l’Unione Europea ha voluto suggerire con il Green Deal. “Gli obiettivi di sostenibilità che pone il Green Deal sono ambiziosi e per quanto condivisibili non possono essere lasciati solo in capo agli agricoltori senza prevedere strumenti ed interventi specifici a supporto – spiega Paolo De Castro, parlamentare europeo e Presidente del Comitato Scientifico di Nomisma. “Ecco perché abbiamo chiesto ed ottenuto che il 55% dei fondi destinati allo Sviluppo Rurale derivanti dal Next Generation EU fossero riservati agli investimenti in innovazione delle aziende agricole.
Sempre nell’ottica di raggiungere le finalità della strategia From Farm to Fork, abbiamo domandato all’Unione Europea anche una maggiore apertura verso l’adozione delle NTB, le tecniche di miglioramento genetico”.
Un esempio tangibile di innovazione in campo agricolo viene dalla possibilità di combattere le malattie per via genetica e non più per via chimica. “E’ una straordinaria opportunità che ci sta dando oggi la scienza, attraverso le tecnologie di miglioramento genetico, che ricordiamo sono intra-specie, non spostano geni da una pianta all’altra e non hanno nulla a che vedere con gli OGM” – prosegue De Castro.
Un’altra rivoluzione di cui si dibatte all’interno del Parlamento Europeo riguarda lo smart farming, ovvero le nuove tecnologie digitali, meccaniche e di precisione che consentono di ridurre l’uso della chimica nelle coltivazioni. “Non dobbiamo pensare a tecnologie avveniristiche molto costose, accessibili solo alle grandi aziende. Stiamo parlando di droni, di satelliti e di attrezzature che permettono agli agricoltori, anche a costi contenuti, di concentrare l’utilizzo delle sostanze chimiche solo nella porzione di campo dove sono necessarie per contrastare le malattie che colpiscono le colture: questo significa riduzione dei costi, maggiore efficienza e dunque sostenibilità. Ecco perché l’innovazione è davvero l’unica risposta concreta per rispondere adeguatamente alle sfide imposte dalla strategia Farm to Fork. Per tradurre i buoni propositi nei fatti che chiedono gli agricoltori, la concretezza arriva dall’innovazione” – conclude De Castro.
La filiera agroalimentare in Italia: un ruolo chiave nell’economia del Paese, ma che si regge su un delicato equilibrio
L’analisi e la comprensione di questi fattori preliminari sono determinanti per l’Italia, perché la filiera agroalimentare ha un ruolo chiave per la ricchezza del Paese e del territorio. Persino durante la pandemia, l’export ha registrato un incremento confortante (+1,3%), confermando il trend positivo degli ultimi dieci anni e in controtendenza con i cali di Francia (-3,7%) e Germania (-1,2%), Stati che hanno maggiormente sofferto le limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria. Questa competitività nazionale è tuttavia figlia di un delicato equilibrio fra import ed export che vede l’Italia non autosufficiente dal punto di vista agricolo, ad esclusione di tre filiere (vino, carne avicola e frutta). “Ci troviamo nella condizione di dover essere competitivi e nello stesso tempo sostenibili, ma non sempre questi due obiettivi vanno a braccetto – osserva Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.
In questo senso, l’innovazione tecnologica può essere la leva determinante che aiuta a raggiungere entrambi gli obiettivi. “Gli scenari della scarsità alimentare, delle risorse naturali e dei cambiamenti climatici ci sembrano fantascienza, ma in realtà ci riguardano da vicino, soprattutto per le implicazioni che generano sul mercato dei prodotti agricoli e sul quadro di regolamentazione del settore” – prosegue Pantini. “Non dobbiamo dimenticarci che, per molte derrate alimentari primarie, l’Italia non è autosufficiente – negli ultimi dieci anni il nostro import agricolo è cresciuto del 55% – e che la tenuta socio economica dei nostri territori è legata ad una filiera, come quella agroalimentare, che negli stessi anni ha aumentato il proprio posizionamento internazionale grazie ad una crescita dell’80% nell’export dei propri prodotti”.
La diffidenza dei consumatori
Nell’attesa che siano risolte le criticità strutturali, diventa pertanto determinante sciogliere il problema del latente pregiudizio dei consumatori italiani nei confronti delle innovazioni tecnologiche nel settore agroalimentare. Ma quanto è radicata questa diffidenza e in che modo si può mitigare? Risponde a questi interrogativi l’indagine di Nomisma-Agrifood Monitor. I prodotti agroalimentari derivanti da aziende “tradizionali” sono percepiti dal 45% degli italiani – a prescindere dall’effettivo consumo – di qualità superiore rispetto a quelli che provengono da aziende tecnologicamente avanzate. Un dato rilevante, che conferma lo scetticismo dei consumatori nei confronti dell’innovazione tecnologica applicata al comparto alimentare. Perchè? Quali significati associano le persone all’agricoltura “tech” per non vedere di buon occhio l’innovazione tout court?
L’agricoltura è cibo, vita, coltivazione e futuro
Nella consapevolezza dell’opinione pubblica, l’agricoltura è soprattutto cibo. La nuvola di parole (tag cloud) presentata qui di seguito riflette il significato dell’agricoltura per gli italiani e spiega l’essenza del pregiudizio per cui, quando si parla di cibo, quello che è “vecchio” è buono, e quello che è “nuovo” è cattivo.
Attraverso risposte libere e non assistite si comprende il valore assegnato al settore oggetto dell’indagine. Su tutti svetta “cibo”, ma emergono altre parole eloquenti come “vita”, “coltivazione”, “naturale/natura”, “futuro”, “salute” e “sostenibilità” che forniscono la prova del prestigio che riveste l’agricoltura nel nostro Paese e, allo stesso tempo, aprono uno spiraglio nello scetticismo spiegando – meglio e bene – i benefici delle nuove tecnologie.
I consumatori divisi fra tradizione e innovazione
Qual è in concreto la propensione del consumatore italiano? Anche in questo caso esiste una spaccatura fra coloro che preferisco acquistare prodotti alimentari da aziende tradizionali (39%) e coloro che invece scelgono aziende tecnologicamente avanzate (34%). Questo avviene perché diversi aspetti – come ad esempio il benessere degli animali e la qualità dei prodotti – tendono ad essere più facilmente collegati all’attività delle aziende tradizionali mentre altri fattori – come ad esempio la sicurezza dei prodotti e la tutela dell’agricoltore – sono più facilmente riconducibili ad aziende percepite come più tecnologiche.
Innovazione, quali sono le priorità?
Gli italiani sembrano tuttavia avere le idee chiare quando viene chiesto loro di individuare le priorità da affrontare attraverso l’innovazione applicata all’agricoltura. Le nuove tecnologie sono ritenute fondamentali in attività che riguardano la produttività e la sostenibilità, come “aumentare la produttività delle colture” per il 39%, “ridurre lo spreco/le perdite di prodotti agricoli” per il 36%, “ridurre l’impatto ambientale del settore agricolo” per il 32% e “soddisfare la domanda alimentare nazionale e globale” per il 28%.
Comunicare i benefici aiuta a comprendere l’importanza dell’innovazione
La corretta comunicazione della tecnologia innovativa impiegata nelle aziende agricole italiane migliora il giudizio dei consumatori nei confronti della stessa in misura rilevante ed è senza dubbio la leva da azionare per scardinare i pregiudizi. L’indagine Survey Nomisma – Agrifood Monitor ha sottoposto 4 tipologie di nuovi strumenti che si stanno diffondendo in questi anni in agricoltura e in tutti i casi gli intervistati hanno mitigato il proprio scetticismo una volta ricevuta una descrizione dettagliata della tecnologia e dei benefici connessi. Il giudizio positivo su “i sensori per misurare l’umidità e regolare l’utilizzo di acqua sulla base delle reali necessità” è aumentato del 13%, quello su “sementi/piante ottenuti con tecniche di miglioramento genetico in grado di affrontare i cambiamenti climatici” del 18%, quello su i “robot di mungitura in grado di migliorare il benessere dei bovini” del 22% e infine quello su “macchine agricole per la distribuzione precisa di fitofarmaci e fertilizzanti sulla base delle reali necessità” del 17%. “L’indagine mostra senza dubbio come una maggiore conoscenza di tali strumenti tecnologici e dei relativi benefici economici, sociali e ambientali renda il consumatore più attento e più propenso ad accogliere queste innovazioni con favore, soprattutto alla luce di uno scenario futuro che non consente molti margini di manovra” – conclude Carlo Gherardi, presidente CRIF.
L’immagine bucolica della campagna italiana è magnifica, perché cambiarla?
L’obiezione sorge spontanea e probabilmente ha contribuito a radicare i pregiudizi che risiedono in gran parte degli italiani. Un interrogativo che non sfugge al mondo accademico. “Davanti alle visioni bucoliche che caratterizzano le magnifiche campagne italiane, verrebbe lecito chiedersi perchè l’agricoltura ha la necessità di cambiare, di innovare? – si domanda Michele Morgante, Professore ordinario di Genetica presso l’Università di Udine.
Perché la visione globale dell’agricoltura, per rispondere alla doppia sfida della produttività e della sostenibilità che richiede il Pianeta, deve risolvere un’equazione molto complessa, ovvero deve produrre di più consumando di meno e mettere in pratica quella che la FAO ha definito intensificazione sostenibile”. Come risolvere dunque l’equazione? Le strade possibili sono tre: la genetica, la chimica e le tecniche agronomiche. La prima – spiega il Professor Morgante – richiede l’intervento sul patrimonio genetico delle piante per far sì che producano di più e meglio, ed è esattamente quello che fa l’uomo da circa 10.000 anni, cioè da quando è cominciato il processo di domesticazione delle specie vegetali. Possiamo risolvere l’equazione attraverso la chimica, per nutrire e proteggere le piante dai nemici. Infine, possiamo farlo con le tecniche agronomiche, come l’agricoltura di precisione. La storia insegna che intervenire sul patrimonio genetico delle piante è la strada che ci ha consentito i miglioramenti più incisivi, con un aumento della produttività di oltre il 50% e rilevanti progressi in materia di sostenibilità, particolarmente accentuati negli ultimi 20 anni”.
La chiave per cambiare la percezione dell’innovazione nell’agricoltura si trova ancora una volta nella comunicazione. “Occorre una nuova narrativa affinché il consumatore accetti di buon grado le novità. Dobbiamo cambiare ciò che è stato fatto fino ad ora, ad esempio, con gli OGM. Serve una visione diversa, dobbiamo spiegare che le nuove tecnologie di evoluzione assistita assieme all’agricoltura di precisione sono il fulcro di una vera e propria rivoluzione in agricoltura, che ci può consentire finalmente di combinare produttività, sostenibilità e perfino tradizione. Non esiste antitesi, come si tende a raccontare, fra innovazione e tradizione, anzi, la prima può aiutarci a preservare la diversità agricola, di cui i consumatori sono tanto preoccupati. L’esempio della viticoltura è perfetto: se utilizziamo le tecnologie di evoluzione assistita potremo rendere resistenti decine se non centinaia di varietà altrimenti destinate a sparire dal mercato e continuare a produrre i vini eccellenti e particolari di cui l’Italia va giustamente fiera. Dobbiamo spiegare i benefici dell’innovazione, perché il problema principale dei consumatori è quello non tanto di sovrastimare i rischi, ma di sottostimare i benefici delle nuove tecnologie, che sono ben presenti ad esempio in campo medico, ma quasi sconosciuti in agricoltura. Va stretto un patto di fiducia fra scienza, agricoltori e consumatori.” – conclude Morgante.
Agricoltura 4.0 fra ostacoli e benefici
A proposito di benefici da comunicare ai consumatori, la seconda parte del V Forum Agrifood Monitor ha approfondito – attraverso le parole di Stefano Baldi, Senior Project Manager Nomisma – alcuni miglioramenti che l’agricoltura di precisione porta alle aziende italiane e, di contro, ha svelato i maggiori ostacoli alla diffusione delle nuove tecnologie, come le ridotte dimensioni delle aziende stesse, il mancato accesso a Internet o la scarsa conoscenza degli strumenti innovativi a disposizione.
L’agricoltura 4.0, pur essendo ancora poco diffusa nel nostro Paese, permette non solo di recuperare efficienza grazie a risparmi nei costi di produzione (che, per colture estensive come il frumento tenero, arrivano fino al 15% ad ettaro) ma garantisce anche una maggiore produttività (che può arrivare ad un +10%). Il che si traduce non solo in un incremento di redditività per l’agricoltore (sostenibilità economica) ma anche in un minor impatto ambientale, grazie all’uso di agrofarmaci, fertilizzanti e acqua limitato alle reali necessità delle piante coltivate (sostenibilità ambientale).
Purtroppo, la ridotta diffusione di tali innovazioni dipende da diversi gap strutturali, comuni all’adozione di questo tipo di tecnologia. Un recente studio della Commissione Europea ha infatti messo in luce come tra le aziende europee, il primo ostacolo all’utilizzo dell’agricoltura di precisione (e 4.0) siano le ridotte dimensioni aziendali (per il 26% delle imprese intervistate), il costo di accesso ma anche la ridotta conoscenza di tali tecnologie. A tale proposito, l’agricoltura italiana presenta una dimensione media poderale di 11 ettari (contro i 17 della media Ue), una formazione agraria completa che riguarda solo il 6% dei conduttori (contro il 9% dell’Ue) e un accesso a internet in aree rurali che interessa l’82% delle famiglie italiane residenti in tali zone rispetto alla media europea dell’86% (che arriva al 99% nei Paesi Bassi).
Innovazione, cambio di rotta necessario
In conclusione, produttività, sostenibilità, innovazione e conoscenza dei relativi benefici da parte di agricoltori e consumatori viaggiano sullo stesso binario e puntano al 2050 con la ragionevole speranza di trovare soluzione ai problemi complessi derivanti dall’aumento della popolazione mondiale e dai mutamenti climatici. Per questo il legame fra l’investimento in nuove tecnologie e l’innovazione da parte degli agricoltori appare essere la strategia migliore, considerando lo scenario previsto nei prossimi 30 anni. Un cambio di rotta considerato tra l’altro necessario per il 54% degli italiani.
Gli Osservatori di Nomisma: una bussola per orientare le scelte di comunicazione e marketing
Forte di una lunga e consolidata esperienza in molteplici settori economici, Nomisma propone Osservatori di mercato dedicati a diverse tematiche. I dati e i numeri raccolti sono una fonte preziosa e una bussola per orientare le scelte di comunicazione e marketing delle aziende, quanto mai necessarie in un’epoca di stravolgimenti determinati dalla pandemia.
Per ulteriori informazioni è possibile scrivere a osservatori@nomisma.it