Sfide ed opportunità per l’agroalimentare italiano tra Covid, Brexit e nuovi accordi di libero scambio
Il Forum Agrifood Monitor, nato da un’iniziativa congiunta tra Crif e Nomisma, si configura come un appuntamento consolidato di approfondimento e confronto tra istituzioni ed imprese dell’agroalimentare su temi attuali e sfide future. Un bilancio su come è cambiato il posizionamento competitivo dei prodotti agroalimentari del Made in Italy nei mercati mondiali dopo due anni di pandemia, mettendo a confronto le performance delle imprese italiane con quelle dei diretti competitor, ha rappresentato l’obiettivo della sesta edizione, andata in onda in diretta streaming dalla Sala Convegni di Nomisma lo scorso 22 febbraio.
Contestualmente e come consuetudine dello stesso Forum, per l’occasione sono stati approfonditi ruolo, apprezzamento e notorietà del food&beverage Made in Italy nel percepito dei consumatori di due mercati importanti per le nostre esportazioni, attualmente e, in prospettiva. Da un lato il Regno Unito, il quarto più rilevante mercato di sbocco per l’agroalimentare italiano per il quale risultava importante capire non solo gli impatti derivanti dalla pandemia ma anche quelli della Brexit ad un anno dall’entrata in vigore; dall’altro lato l’Australia che, pur incidendo per una quota marginale (meno del 2% dell’export), nel quinquennio 2015-2020 ha aumentato gli acquisti dal nostro paese di oltre il 36% e che, pur in un momento di stallo del negoziato, figura tra i mercati con cui l’Unione Europea dovrebbe concludere quanto prima un accordo di libero scambio.
Accanto alle analisi realizzate da Denis Pantini ed Emanuele Di Faustino di Nomisma, si sono succeduti nel confronto Paolo De Castro, Presidente del Comitato Scientifico di Nomisma, Niccolò Zuffetti di Cribis, Alessandro Guerini, Export Director Gruppo Vinicolo Santa Margherita, Fabio Maccari, Amministratore Delegato Gruppo Salov e Silvia Mandara, Vice Presidente Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop.
La prima relazione – illustrata dal Responsabile Agroalimentare di Nomisma, Denis Pantini – è stata incentrata su performance e posizionamento competitivo del food&beverage Made in Italy nei mercati internazionali. L’intervento si è focalizzato su tre aspetti principali, vale a dire
- L’export agroalimentare italiano ai tempi del coronavirus: un bilancio dopo due anni di pandemia
- Il posizionamento competitivo del food&beverage italiano nei top mercati mondiali
- Non solo Covid-19: le performances dei prodotti alimentari del Made in Italy tra Brexit, guerre commerciali e accordi di libero scambio
Il bilancio sulle esportazioni agroalimentari italiane dopo due anni di Covid ha messo in luce una dinamica di crescita a valori vicina al +15% – rispetto al 2019 -, con performance superiori a quelle dei nostri diretti competitor come Francia e Germania che sono rimaste sotto il 10% (rispettivamente +8% e +4%).
Tra i principali mercati di sbocco dell’agroalimentare italiano, Stati Uniti e Canada hanno fatto registrare un aumento a valori del 20% rispetto alla situazione pre-pandemica (2019), in Germania il nostro export è cresciuto del 15%, mentre le variazioni più alte si sono toccate in Corea del Sud (+60%) e Cina (+46%), sebbene in quest’ultimo Paese la nostra quota di mercato continui a rimanere marginale (meno del 2% sul valore delle importazioni agroalimentari totali del paese asiatico).
Anche nel Regno Unito post Brexit gli acquisti di prodotti alimentari italiani non sono diminuiti, portando ad una crescita della nostra quota di mercato che dal 5,6% è arrivata oggi al 6,3%, in un trend di riduzione delle importazioni totali di food&beverage.
E proprio il Regno Unito, assieme ad un altro mercato completamente agli antipodi come l’Australia, hanno rappresentato il focus di approfondimento del Forum presentato nella sua relazione da Emanuele Di Faustino, Senior Project Manager Nomisma. Se per UK la scelta di una disamina più dettagliata è derivata dai possibili impatti post Brexit, per l’Australia ci si è posti l’obiettivo di capire le potenzialità per i prodotti agroalimentari italiani in vista di un futuro accordo di libero scambio attualmente in fase di negoziato. Da qui la realizzazione di una doppia survey che ha coinvolto 2.000 consumatori.
Dalle indagini è emerso innanzitutto come il food&beverage italiano goda di un ottimo appeal: sia per il consumatore australiano che, soprattutto, per quello inglese, quelli italiani sono i prodotti alimentari esteri più apprezzati grazie in particolare al loro gusto e alla loro ottima qualità (lo indica il 35% in UK e il 23% in Australia). Tale percezione è da ricondurre anche alle eccellenze del nostro alimentare che vengono esportate in tali Paesi e che son ben note ai consumatori: in UK a farla da padrone in termini di notorietà è il Prosecco seguito dal Parmigiano Reggiano e dal Prosciutto di Parma. In Australia invece il primato spetta al Parmigiano Reggiano seguito a breve distanza dal Prosecco e dal Chianti.
In entrambi i Paesi, l’e-commerce per il food&beverage è molto diffuso: il 34% usa spesso internet per acquistare prodotti alimentari e bevande, quota che sale al 45% tra gli inglesi. Si ricorre al web anche per acquisire informazioni sui prodotti da consumare (caratteristiche, storia del produttore, luoghi di produzione): a farlo è il 40% dei consumatori di entrambi i mercati.
Oltre che ad essere digital addicted, i consumatori di questi due importanti mercati sono particolarmente sensibili al temi legati alla sostenibilità, un fenomeno in crescita negli ultimi anni. Da quando è scoppiata la pandemia, per ben 6 consumatori 10 è diventato importante che i prodotti alimentari che si mettono nel carrello abbiano una confezione sostenibile oppure siano stati prodotti nel rispetto dell’ambiente o secondo standard etici (es. attenzione al diritto dei lavoratori).
La sostenibilità e il digital sono quindi due leve da sfruttare per le aziende dell’alimentare italiano che vogliono esportare in Australia e UK, anche alla luce di quello che è l’identikit del consumatore di food made in Italy, emerso dalle indagini Nomisma. In entrambi i mercati, gli heavy user di prodotti italiani hanno difatti un profilo ben definito: sono millennials, ben istruiti e con reddito alto, residenti nelle grandi città (Londra e Sydney) e, soprattutto, attenti alla sostenibilità e digital engaged.
Dopo un 2021 da record, il difficile viene ora. Le tensioni inflattive, che permangono nei costi energetici, di trasporto e delle commodity e che con l’invasione dell’Ucraina perpetrata dalla Russia trovano un ulteriore acceleratore, mettono a rischio il vantaggio competitivo conquistato dalle imprese alimentari italiane nell’ultimo anno. Senza tralasciare il fatto che questi due mercati europei, nel corso del 2021, avevano importato oltre 1,2 Miliardi di euro di prodotti agroalimentari italiani (con la Russia, tra le altre cose, che aveva messo sotto embargo molti dei nostri prodotti food&beverage dal 2014). Una fetta del nostro export che dovrà trovare altri mercati di sbocco, in un contesto politico-economico e commerciale che sta diventando sempre più complicato a livello internazionale.