Con oltre 67 miliardi di euro di prodotti agroalimentari esportati, l’Italia rientra nella top ten degli exporter mondiali. Un livello raggiunto grazie ad una crescita costante negli anni e che nel 2024 ha visto aumentare le nostre vendite oltre frontiera di oltre 8 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Nessuno, tra gli altri top exporter, ha messo a segno una variazione di questa intensità. Tanto per fare qualche esempio, l’export agroalimentare francese è rimasto al palo (+0,7%), Germania e Spagna non sono andate oltre il 6%.
Ma la crescita delle esportazioni registrata negli ultimi anni rischia di subire una battuta d’arresto a causa dei dazi americani, paventati dal presidente Trump. Per comprendere quali scenari internazionali attendono il comparto agroalimentare italiano, abbiamo incontrato Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.
Nuove sfide all’orizzonte per l’export agroalimentare italiano
Dal Covid in poi, i mercati hanno vissuto fasi di grande tensione generate prima da fiammate inflazionistiche, poi da congiunture economiche negative che hanno depresso i consumi alimentari. “In questo scenario caratterizzato da forti turbolenze, se il mercato domestico non sembra aver recuperato il livello di consumi alimentari pre-pandemico, l’export agroalimentare italiano – al netto dei derivati del tabacco – ha invece raggiunto un nuovo record, superando nel 2024 i 67 miliardi di euro” – evidenzia Pantini. Non si è avuto nemmeno il tempo di festeggiare questo record che molte nubi si stanno addensando all’orizzonte, in primis i dazi all’import annunciati da Trump sui prodotti europei.
“Al di là della strategia geopolitica condotta dalla nuova amministrazione statunitense alquanto difficile da interpretare, l’applicazione di dazi aggiuntivi sulle importazioni europee sembrerebbe discendere in primis dalla volontà di riequilibrare la bilancia commerciale statunitense che, in merito alle merci scambiate, risulta sensibilmente in deficit per molti paesi. Nel caso dell’Unione Europea tale deficit ammonta ad oltre 200 miliardi di dollari, ma tende ad azzerarsi se, unitamente alle merci, si contabilizzano gli scambi di servizi, i cui flussi di scambio sono invece a favore degli Stati Uniti. In tutto questo, l’applicazione di ulteriori dazi (minacciati da Trump fino al 200% per i vini) rischia di generare rilevanti impatti nell’export agroalimentare italiano che, tra tutti i paesi Ue, risulta il più esposto sul mercato statunitense, con un 12% del valore totale” – prosegue il Responsabile Agroalimentare Nomisma.
I prodotti dell’agrifood italiano più a rischio con i dazi USA
Guardando ai prodotti alimentari italiani che hanno negli Stati Uniti il principale mercato estero di sbocco, lo scenario è molto ampio e comprende numerose eccellenze del Made in Italy. “In termini di incidenza sulle relative vendite oltre frontiera, si va dal 72% dell’export di sidro, al 57% di Pecorino Romano e Fiore Sardo Dop; dal 48% dei vini bianchi Dop del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, al 40% di quelli rossi toscani Dop. Anche per l’olio extravergine di oliva italiano gli USA hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export a valori, e così a scendere per il 30% nel caso degli aceti e il 28% per le acque minerali. Meno esposti risultano invece il Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che comunque pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due formaggi” – sottolinea Pantini.
Le regioni del Centro Sud potrebbe essere maggiormente colpite
Se dai singoli prodotti o categorie si passa all’export agroalimentare per regioni, per alcune di loro si delinea un quadro estremamente delicato. “Quella certamente più esposta alle decisioni di Trump risulta essere la Sardegna, dove si produce oltre il 90% del Pecorino Romano Dop, il cui export agroalimentare finisce per il 49% proprio negli Stati Uniti; e, giocoforza, ci ricade anche il 74% dell’export dei prodotti lattiero-caseari isolani.
Al secondo posto per maggiore esposizione negli USA figura la Toscana con il 28% del proprio export agroalimentare, con l’olio in pole position (42%) e i vini (con il 33%)”.
Ma negli Stati Uniti approda anche il 58% dell’export di olio del Lazio, così come il 28% delle esportazioni di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% di quelle di vini campani. “Considerando le diverse aree del nostro Paese, sono le esportazioni agroalimentari del Centro e del Sud Italia a rischiare di più a seguito dell’applicazione dei dazi di Trump, anche alla luce di relazioni consolidatesi negli anni con questo importante mercato grazie, sovente, alla domanda generata dalle comunità di italiani residenti negli Stati Uniti” – conclude Pantini.