Secondo l’ultima analisi congiunturale presentata da Nomisma, il 2023 si è caratterizzato per il crollo dell’inflazione nelle principali economie mondiali. La rapidità della discesa è palese: l’inflazione ha impiegato quasi due anni a raggiungere il picco e solo un anno per ridiscendere al punto di partenza.
Gli attuali livelli d’inflazione nel mondo sono incoraggianti: a febbraio 2024, l’Area Euro registra un tasso di inflazione del 2,4%, non distante dalla soglia target del 2%. Su valori simili (+2,2%) si colloca la Germania, la principale economia della Comunità. Assai più marcata è risultata la discesa del tasso d’inflazione italiano, che da dicembre risulta quasi nullo (0,9%), ampiamente sotto la soglia target del 2%. Negli Stati Uniti, l’inflazione resta più alta di quella europea, attestandosi al 3,4%, mentre la Cina vede crescere la propria economia sostanzialmente senza inflazione (+0,3%).
L’indice generale dei prezzi è la risultante di due componenti: l’inflazione core e quella transitoria, rappresentata dai prezzi dei beni energetici e alimentari. Nei Paesi europei, l’ascesa dell’inflazione è stata trainata dalla componente transitoria dei beni energetici, mentre negli Stati Uniti è stata la componente core il motore inflattivo. Col trascorre del tempo, in Europa la parte volatile ha ceduto il passo alla componente core.
Oggi l’inflazione ufficiale di Area Euro, Stati Uniti e Italia è la somma algebrica di componente core sempre più elevata rispetto al dato dell’inflazione generale, che viene attenuata da quella transitoria degli energetici che, essendo negativa, contribuisce ad attenuare l’inflazione totale.
L’ignavia delle politiche monetarie
Se l’inflazione viene percepita come il principale spauracchio dalle principali banche centrali, l’attendismo della BCE ricorda gli ignavi danteschi, ossia coloro che non presero mai posizione e non ebbero il coraggio delle proprie idee.
Nella riunione dell’11 aprile per la quarta volta consecutiva la BCE ha deciso di non modificare l’attuale livello del tasso di riferimento. La motivazione dichiarata è riconducibile proprio al timore ancora non sopito di ripresa dell’inflazione. In altri termini, la percezione è che l’inflazione nella UE sia scesa ma non abbastanza per cui è meglio essere ancora prudenti.
Due le obiezioni a questa posizione.
Anzitutto le evidenze sembrano mostrare l’inefficacia della politica monetaria restrittiva verso il contenimento dell’inflazione core. Per tutto l’arco del 2022, quando la stretta ha mostrato un’aggressività senza precedenti (gli Stati Uniti hanno alzato il tasso di interesse di 75 punti per quattro volte consecutive), l’inflazione core è addirittura cresciuta o rimasta costante. Il calo dell’inflazione generale dall’inizio del 2023 è da imputare principalmente alla discesa dei costi dei beni energetici, che nella fase di salita avevano trainato l’inflazione totale. Per altro, una politica monetaria restrittiva dovrebbe rallentare i consumi interni riducendo l’inflazione core, mentre può fare ben poco se la componente volatile cresce rapidamente a causa dell’aumento dei prezzi internazionali dei beni energetici. Nonostante le scelte di politica monetaria, i consumatori americani ed europei non hanno modificare più di tanto il proprio stile di vita e la propensione marginale al consumo non si è ridotta come sperato a favore della propensione al risparmio. In estrema sintesi, in un contesto economico, sociale e culturale globale così mutato, si è dato per scontato che le leve di trasmissione economica avrebbero funzionato come nel passato ma così non è stato.
La seconda obiezione è che la FED (e a seguire la BCE) si è concentrata sulla triade tassi-inflazione-occupazione, dimenticando che un aumento, soprattutto se così rapido, origina ripercussioni su tutti i settori economici e finanziari. L’aumento repentino dei tassi di interesse ha generato turbolenze sui mercati finanziari e una contrazione del credito erogato a imprese e a famiglie. A risultare più penalizzati sono stati i Paesi con un elevato debito pubblico, gravati da crescenti oneri, oltre alle famiglie che per mantenere il medesimo standard di vita, a fronte di salari reali erosi dall’inflazione, hanno incrementato il ricorso al credito e ora si ritrovano a pagare oneri più elevati.
Un mondo in attesa
Il 2024 per molti versi sarà l’anno della verità ma probabilmente solo al margine della sua coda si riuscirà a comprendere la direzione intrapresa dal sistema economico congiunturale e globale.
Diverse situazioni accrescono l’incertezza ma quando il mare è incerto è necessario tenere la barca dritta e seguire una rotta decisa. Non è quello che hanno fatto le banche centrali che governano il timone finanziario ed economico. La situazione di stallo, con tassi fermi da diverse sedute, non fornisce indicazioni sulla traiettoria che vuole perseguire la BCE in un contesto in cui l’incertezza istituzionale si somma a quella, frutto delle guerre, delle oscillazioni dei prezzi energetici, delle interruzioni delle catene di approvvigionamento.
Ulteriori elementi interpretativi giungono dall’indice di propensione al rischio, definito dal rapporto tra Dow Jones e prezzo dell’oro: quando l’indicatore vira verso il basso, prevale un clima di avversione al rischio, se invece sale gli operatori sono maggiormente propensi al rischio. All’inizio della pandemia l’indice era crollato, ma già a maggio 2020 la propensione al rischio aveva inaugurato una fase di crescita, protrattasi per tutto il 2021. Nel corso del 2022 a prevalere è stato un clima di attesa, continuato anche nel 2023 Nel 2024 il clima di attesa sembra interrompersi per lasciare spazio a un deciso aumento della propensione al rischio.
Gli operatori di Borsa hanno rotto gli indugi, noncuranti dell’attendismo delle banche centrali, scommettendo sulla crescita economica. Al di là della significativa crescita di Dow Jones e FTSE Mib, è interessante analizzare l’evoluzione del Cboe Volatility Index (VIX) e del Cboe Skew Index (SKEW).
Nello specifico, il Vix, chiamato anche indice della paura, misura le attese sulla volatilità del mercato azionario, che nel 2024 risultano straordinariamente bassi (12,5), molto al di sotto della soglia di allarme (20). Al contrario lo SKEW, chiamato anche indice del cigno nero (l’elemento inatteso), nei primi mesi del 2024 ha più volte e in maniera decisa superato la soglia di allarme di 150, a dimostrazione di come rimanga viva la preoccupazione di eventi imprevisti che possano modificare in profondità le dinamiche economiche future.
Di Lucio Poma – Capo Economista Nomisma