- Nomisma: il fatturato della Ristorazione Collettiva supera i 4,4 miliardi di euro, ma il Risultato Operativo segna un -69% rispetto al 2018.
- Oricon: occorre dibattito costruttivo tra istituzioni, imprese e policy makers per soluzioni in linea con i cambiamenti socio-economici. Rischio stallo per un settore ad elevato valore sociale collettivo.
Roma, 9 aprile 2025 – Le 1000 aziende della filiera della ristorazione collettiva, attraverso il lavoro di 100.000 addetti, di cui l’80% donne, rappresentano un comparto essenziale che garantisce ogni anno 780 milioni di pasti sani ed equilibrati – per un prezzo medio di 5,7 euro, 5,3 euro nella ristorazione scolastica – destinati a milioni di studenti di tutte le età, pazienti, lavoratori e persone in difficoltà, svolgendo un ruolo cruciale per la salute pubblica e l’inclusione sociale.
“A fronte di un contesto caratterizzato da incertezza e crescenti criticità, la ristorazione collettiva chiede un dibattito costruttivo tra istituzioni, imprese e policy makers per il rinnovo di un quadro normativo diventato inestricabile. Trovare soluzioni in linea con i cambiamenti socioeconomici degli ultimi anni è un impegno che Oricon prende per prima, ma che necessita della collaborazione di tutti gli attori coinvolti. Esiste il rischio di uno stallo di un settore ad elevato valore sociale collettivo” – È questo, in sintesi, l’appello che Carlo Scarsciotti, Presidente di ORICON, l’Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione, lancia dall’incontro “Ristorazione collettiva: un settore strategico tra pressione normativa e opportunità di crescita. Equilibrio necessario tra regole e valore” che ha visto protagonisti le istituzioni nazionali e locali, le imprese della filiera, le associazioni e gli esperti.
Sfide e Opportunità per la Ristorazione collettiva in Italia è il titolo della ricerca commissionata da Oricon, realizzata da Nomisma e presentata nel corso dell’incontro odierno per evidenziare l’evoluzione e le criticità che un settore così strategico come la ristorazione collettiva, sta affrontando da anni.
Pur avendo recuperato in termini assoluti i valori di fatturato pre-pandemia, mantenendo invariato il livello occupazionale, il settore vede i propri margini d’impresa drasticamente ridotti sotto la pressione dei costi crescenti di materie prime alimentari (+19% dal 2018), energia (+37% carbone, +36% gas naturale, +28% petrolio) e delle rigidità del quadro normativo.
È bene sottolineare che quest’ultimo vede coinvolti ben 5 ministeri diversi: Infrastrutture e Trasporti per il Codice degli appalti, Ambiente e Sicurezza Energetica in tema di Criteri Ambientali Minimi, Istruzione e del Merito per le linee guida alimentari nell’ambito scolastico, Agricoltura per il Controllo delle materie prime e Salute per le linee guida nutrizionali per ogni utenza, ai quali si aggiunge tutta la normativa locale emanata dalle Regioni.
A fronte di un fatturato di circa 4,5 miliardi di euro (dati 2023) – per il 50% attribuibile ad appalti con enti pubblici – la ricerca dimostra una significativa erosione dei margini di impresa con un risultato operativo di -69% rispetto al 2018 e una riduzione dell’EBITDA margin dal 6% (2018) al 3% (2023).
Le cause sottese ad un risultato così negativo sono al centro dell’analisi presentata da Nomisma, che approfondisce l’impatto di alcuni fattori quali l’aumento dei costi di produzione dovuto ai trend macroeconomici, il cambiamento demografico e le nuove abitudini alimentari degli italiani.
Lo studio evidenzia come le crescenti richieste cui il settore deve rispondere, anche in termini di sostenibilità ambientale e sociale, se non supportate da un impianto normativo nazionale, regionale e locale adeguati si traducono, negli anni, con una continua erosione dei margini d’impresa, soprattutto nei segmenti in cui la quota di appalti pubblici è più elevata.
Tra le principali cause delle difficoltà del settore, Nomisma individua anche la necessità di conciliare la qualità del servizio con l’efficienza economica, soprattutto nel soddisfare i criteri definiti dagli appalti pubblici, dove i budget sono limitati e i prezzi, di fatto, fissi rispetto alla significativa volatilità e all’incremento dei costi.
Se confrontati con quelli della ristorazione commerciale – settore affine per tipo di servizio fornito, ambito geografico di riferimento e utilizzo dello stesso contratto collettivo nazionale – i risultati operativi delle aziende di ristorazione collettiva denotano un aumento dei costi per le materie prime e del personale che non si è tradotto in un paragonabile aumento dei ricavi a causa della rigidità dei prezzi nei segmenti di mercato maggiormente normati.
Al contempo, il quadro normativo all’interno del quale si muovono le aziende della ristorazione collettiva impone, con pochissimi margini di manovra, quantità e qualità delle materie prime da utilizzare, ma non contempla un totale adeguamento dei prezzi a carico delle Pubbliche Amministrazioni in caso di significativi aumenti dei costi.
“Evitare che le imprese siano gli unici attori del sistema della ristorazione collettiva a sostenere i costi del cambiamento è, quindi, un’azione necessaria per far sì che il settore possa continuare a erogare i propri servizi e, al contempo, garantire continuità occupazionale e qualità. Spesso la rigidità delle regolamentazioni in ampi segmenti del mercato della ristorazione collettiva ha impedito la messa in campo di strategie di adeguamento dell’offerta che hanno avuto ripercussioni non solo sui margini operativi delle imprese, ma anche sul raggiungimento effettivo del servizio in termini sociali, di sostenibilità e di soddisfazione del welfare degli utenti finali” – commenta Sara Teghini, Senior Advisor di Nomisma.